Nella notte tra lunedì 26 e martedì 27 settembre, la sonda DART (Double Asteroid Redirection Test) della NASA colpirà un asteroide per modificarne il percorso, un primo test di un sistema che un giorno potrebbe rivelarsi essenziale per evitare disastrose collisioni con la Terra. L’esperimento avverrà a circa 11 milioni di chilometri da noi e coinvolgerà Dimorphos, un piccolo asteroide che non rischia di finire contro il nostro pianeta e che continuerà ad avere una rotta sicura anche dopo l’impatto con la sonda spaziale.
Nel nostro immaginario – alimentato soprattutto da alcuni film di fantascienza come Armageddon – gli asteroidi devono essere assolutamente distrutti prima che possano fare danni, magari col sacrificio di coraggiosi equipaggi e l’utilizzo di qualche arma nucleare. Nella realtà, i sistemi finora ipotizzati contemplano soluzioni meno drastiche e cioè l’utilizzo di sonde che intercettino gli asteroidi quando sono ancora molto lontani dalla Terra e con un minimo impatto ne deviino il percorso.
Grazie ai sistemi di rilevazione e tracciamento, negli ultimi decenni è stato possibile catalogare quasi diecimila asteroidi con dimensione massima di almeno 140 metri, che nel caso di uno scontro con la Terra potrebbero causare grandi devastazioni su scala regionale. A oggi, nessun asteroide conosciuto costituisce un pericolo diretto per la Terra per il prossimo secolo, ma le cose potrebbero cambiare ed è meglio farsi trovare preparati.
Quasi tutti gli asteroidi si trovano nella “fascia principale”, il grande anello di detriti che gira intorno al Sole tra le orbite di Marte e Giove. Sono considerati parenti dei pianeti terrestri, come il nostro, anche se sono molto più piccoli e raramente sferici. L’ipotesi più condivisa è che siano ciò che è rimasto del “disco protoplanetario”, il grande ammasso di gas e polveri in orbita intorno al Sole miliardi di anni fa dal quale si formarono i pianeti e i satelliti naturali del sistema solare.
Questi asteroidi sono miliardi e, nonostante nello Spazio ci sia – ehm – molto spazio, talvolta può accadere che si verifichi una collisione o qualche altro evento tale da turbarne le orbite e portarli ad avvicinarsi alla Terra. Questi asteroidi erranti (cioè quelli che per qualche motivo sono usciti dalla propria orbita) sono tenuti sotto controllo più degli altri e vari gruppi di ricerca hanno lavorato a soluzioni sperimentali per defletterli, cioè per far cambiare loro percorso.
Tra le tecniche più esplorate e ritenute promettenti c’è quella dell’impattatore cinetico, che consiste nell’urtare con una sonda l’asteroide quando è ancora molto lontano da noi, in modo che il suo nuovo percorso non incroci quello del nostro pianeta. Gli asteroidi non hanno una densità omogenea, hanno forme molto diverse tra loro e altre caratteristiche difficili da prevedere e includere in una simulazione. Per quanto accurate, quindi, le simulazioni al computer non sono sufficienti per prevedere pienamente gli effetti cinetici dell’impatto e di conseguenza sono necessari test dal vero.
Da queste considerazioni è nata la missione DART, che dopo alcuni anni di preparazione era partita alla fine di novembre del 2021 per raggiungere Dimorphos. Il piccolo asteroide ha una larghezza massima di 160 metri e viaggia in compagnia di un asteroide più grande, Didymos, il cui diametro massimo è di 780 metri. DART ricorda i satelliti artificiali di medie dimensioni in orbita intorno alla Terra: ha una massa di oltre 600 chilogrammi e il suo corpo centrale è pressoché cubico, con 1,3 metri di lato.
DART dovrà guidarsi da sola verso il proprio obiettivo utilizzando i sistemi di navigazione automatica che ha a bordo, che hanno il compito di distinguere automaticamente l’asteroide più grande da quello più piccolo e infine di centrare l’obiettivo. La NASA confida che funzioni tutto come programmato, anche se c’è una possibilità – per quanto piccola – che i sistemi siano tratti in inganno da una forma o un’ombra inattese, facendo mancare a DART l’asteroide.
Nel suo avvicinamento prima della collisione – che avverrà all’1 e 14 minuti del mattino di martedì 27 settembre (orario italiano) – DART invierà verso la Terra un’immagine al secondo, mostrando il progressivo avvicinamento a Dimorphos. Da un piccolo punto luminoso, apparirà sempre più grande fino a quando le immagini si interromperanno, in seguito alla distruzione di DART. A osservare le conseguenze dell’impatto ci sarà comunque un testimone: LICIACube, un piccolo satellite (cubesat) grande più o meno quanto una scatola da scarpe, finanziato e gestito dall’Agenzia spaziale italiana (ASI).
Il cubesat è stato sviluppato da un consorzio di enti di ricerca e università italiani, sotto la guida di Elisabetta Dotto dell’Istituto nazionale di astrofisica (INAF – Osservatorio astronomico di Roma). Il Politecnico di Milano si è fatto carico dell’analisi di missione, e l’Università di Bologna dei calcoli orbitali; della parte scientifica si occupa l’Università degli Studi di Napoli “Parthenope” con l’IFAC-CNR e con l’INAF che coordina il team scientifico. La costruzione di LICIACube invece è stata gestita da Argotec, azienda spaziale di Torino specializzata nella produzione di microsatelliti.
Dopo avere viaggiato per quasi un anno insieme a DART, LICIACube si è separato dalla sonda per posizionarsi a circa mille chilometri di distanza dall’impatto, ma ha in programma spostamenti verso Dimorphos per compiere un passaggio ravvicinato a 55 chilometri. Il cubesat non riprenderà in tempo reale l’impatto vero e proprio, ma dopo pochi minuti raccoglierà dati che permetteranno di analizzare la struttura e l’evoluzione della nube di detriti, che si solleverà in seguito all’impatto. Le sue osservazioni saranno inoltre preziose per ottenere dati sulle caratteristiche della superficie dell’asteroide, e sul cratere che si formerà al momento della collisione.
Dimorphos sarà inoltre tenuto sotto controllo a grande distanza, con numerosi telescopi sulla Terra e con i telescopi spaziali Hubble e James Webb, il più potente osservatorio nello Spazio da poco entrato pienamente in servizio. Le osservazioni serviranno per misurare le minime variazioni della luminosità apparente dell’asteroide e del suo compagno Didymos, in modo da verificare l’avvenuta modifica dell’orbita. Saranno inoltre impiegati per raccogliere dati sulla nube che si produrrà in seguito all’impatto, importante per calcolare l’entità dello scontro e stimarne le conseguenze.
Mantenendosi a una distanza media di circa 1,2 chilometri, Dimorphos compie un giro completo intorno a Didymos ogni 12 ore. Dopo l’impatto con DART, il piccolo asteroide dovrebbe avvicinarsi lievemente a quello più grande, riducendo di una decina di minuti il periodo orbitale, cioè il tempo che impiega per compiere ogni giro intorno al proprio compagno.
Poiché i due asteroidi non sono molto grandi, le osservazioni saranno dedicate soprattutto alla rilevazione delle variazioni di luminosità. Dal nostro punto di osservazione sulla Terra, Dimorphos passa davanti e dietro a Didymos, producendo di continuo piccole eclissi. Calcolando la loro durata si può calcolare la velocità con cui l’asteroide più piccolo gira intorno a quello più grande, ottenendo dati per verificare variazioni nella durata del periodo orbitale.
Nei mesi dopo l’impatto, i due asteroidi continueranno a essere osservati per valutare gli esiti della missione. L’Agenzia spaziale europea (ESA) ha inoltre in programma Hera, una iniziativa per fare nuovamente visita a Dimorphos e Didymos nei prossimi anni e fornire nuovi dettagli sulle loro condizioni. La nuova missione fa parte dell’Asteroid Impact and Deflection Assessment (AIDA), una importante collaborazione tra agenzie spaziali dedicata allo studio e allo sviluppo di sistemi per deviare gli asteroidi.
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