Sta facendo discutere un intervento del dottor Giovanni Frajese durante una conferenza tenutasi presso la Camera dei Deputati. Il medico, recentemente sospeso, cita diversi studi con i quali vorrebbe dimostrare l’inefficacia dei immunizzazioni contro il nuovo Coronavirus rispetto alla mera immunità naturale. Frajese ribadisce anche alcune vecchie tesi sulla geno-tossicità dei immunizzazioni, già rivelatesi infondate. Le slide relative all’intervento vengono riportate anche sul sito di Radio Radio. Vediamo di cosa trattano tali fonti.
Per chi ha fretta:
- Parlare di efficacia negativa dei immunizzazioni non ha senso: attualmente nessuno studio dimostra che ci fanno infettare di più.
- Il calo di protezione e i relativi booster sono tipici di molti immunizzazioni antigenici, che proprio come quelli Covid richiedono almeno tre dosi entro un anno.
- Abbiamo già visto che nessuna variante Covid è in grado di “bucare i immunizzazioni” per quanto riguarda le forme gravi di Covid-19.
- Non è mai stato visto alcun collegamento causale con depressione e ansia nei vaccinati, mentre vi sono studi correlativi sugli effetti psico-sociali della Pandemia.
- L’associazione tra problemi cardiovascolari e immunizzazioni sotto i 40 anni non è attualmente dimostrata.
- Non esistono attualmente studi seri che dimostrino la trascrizione inversa nei immunizzazioni a mRNA, ovvero, non modificano il nostro Dna.
- immunizzazioni che stimolino gli anticorpi IgA sarebbero effettivamente neutralizzanti; non di meno quelli attuali stimolano gli IgG, che garantiscono la protezione contro le forme gravi di Covid e riducono statisticamente le probabilità di contagio.
Analisi
L’intervento di Frajese e le relative fonti sono riassunte da Radio Radio come segue:
Il primo studio presentato Frajese e pubblicato da The Lancet evidenzia i limiti della protezione vaccinale, la quale risulta nulla dopo 8 mesi ma soprattutto negativa dopo 9 mesi, cioè sotto la protezione dei non vaccinati. “Questo è un dato” spiega il professore “mai visto prima per un vaccino. Questo dato significa che le persone vaccinate si ammalano e si infettano di più di quelle non vaccinate. Già solo questo basterebbe per mandare all’aria tutta la storia che è stata portata avanti”. Tali dati vengono confermati non solo da The Lancet ma anche da ulteriori studi del The New England Journal of Medicine e da Nature. L’analisi di Frajese approfondisce non solo le carenze nell’efficacia del vaccino ma anche il tema delle alterazioni immunitarie e delle possibili conseguenze avverse della campagna vaccinale. “Questo dato va guardato con estrema attenzione” sottolinea Frajese “per capire se sia stato fatto un danno alle persone che si sono vaccinate, danno che si spera sia solo temporaneo”. Secondo lo studio scientifico pubblicato su Nature si è assistito ad un incremento di oltre il 25% degli accessi al pronto soccorso per criticità cardiovascolari nelle fasce di cittadinanza under 40 in concomitanza con la campagna vaccinale. “Il dato è incontrovertibile non sono mie opinioni. Qualcuno dovrebbe prendere atto che esiste una scienza che a livello internazionale va avanti. Sarà il caso di studiare e non dare diktat senza basi scientifiche”
Tra gli scienziati che hanno risposto alle affermazioni di Frajese entrando nel merito degli studi citati troviamo anche Aureliano Stingi, PhD in Cancer Biology, il quale ha spiegato a Open alcuni dei punti più fuorvianti nell’interpretazione del medico.
In cosa consiste il calo di efficacia?
Come vedremo, spesso Frajese prende singole parti degli studi tralasciando la visione generale dei ricercatori, a cominciare dal primo studio: «Risk of infection, hospitalisation, and death up to 9 month after a second dose of COVID-19 vaccine: a retrocspective, total population cohort study in Sweden». Il medico sospeso riporta alcune parti del paper, per sostenere che vi sia addirittura una «protezione negativa» del vaccino dopo nove mesi.
La protezione da una infezione di ogni gravità in Svezia non è più statisticamente significativa a 7 mesi, è nulla a 8 mesi, è tendenzialmente negativa, cioè sotto alla protezione dei non vaccinati – continua Frajese -, a 9 mesi sebbene tra i non vaccinati abbiano espressamente escluso tutti i soggetti con una precedente infezione.
Ma se andiamo a leggere anche solo la parte dell’abstract titolata «interpretazione», leggiamo che secondo quanto osservato dai ricercatori «per quanto riguarda la COVID-19 grave, l’efficacia del vaccino sembrava essere meglio mantenuta, anche se dopo 4 mesi è emersa una certa diminuzione. I risultati rafforzano il razionale basato sull’evidenza per la somministrazione di una terza dose di vaccino come richiamo».
Quindi, lo studio retrospettivo svedese, apparso nel febbraio 2022, non fa altro che confermare l’efficacia duratura contro le forme gravi di Covid-19, anche se in alcuni casi la protezione cala dopo 4 mesi. Piuttosto, il paper si inserisce nel filone di ricerca a supporto della Terza dose.
Un calo di protezione mai visto per un vaccino?
L’esigenza di una Terza dose non può dirsi nemmeno «mai vista prima per un vaccino». Avevamo già visto, trattandosi di immunizzazioni antigenici, come fosse prevedibile che si arrivasse a tre inoculazioni nel giro di un anno. Infatti spiegavamo già in un precedente articolo, che tra i immunizzazioni antigenici è normale arrivare almeno a tre dosi entro un anno. Ricordiamo alcuni esempi:
- Difterite;
- Polio Salk;
- Tetano;
- Epatite B;
- Pertosse;
- Papilloma.
La protezione negativa
Frajese cita a supporto altre ricerche già trattate nel progetto Open Fact-checking. Per esempio lo studio sulla protezione di Pfizer in Qatar, inizialmente preprint, ora pubblicato sul New England Journal of Medicine. Anche in questo caso la cosiddetta «protezione negativa» riguarda i casi lievi, non le forme gravi. «La protezione contro le infezioni indotta da BNT162b2 sembra diminuire rapidamente dopo il picco subito dopo la seconda dose – Proseguono i ricercatori -, ma persiste a un livello robusto contro il ricovero e la morte per almeno sei mesi dopo la seconda dose».
Quel che non sembra chiaro è che della protezione contro un raffreddore ci interessa poco, mentre il vaccino ci mette al riparo dal finire in terapia intensiva o morire. «Ovviamente la protezione non può diventare negativa – continua Stingi -, la quantità di benzina in una macchina non può essere negativa. Il lavoro che cita non è un trial clinico dove puoi controllare due gruppi; si tratta di uno studio fatto sulla cittadinanza, quindi non valuti l’efficacia. Non sai per esempio se i non vaccinati hanno avuto delle infezioni asintomatiche, così come tante altre informazioni. Quindi si crea un rumore statistico, che apparentemente ti fa andare l’efficacia vaccinale in negativo. In realtà non è possibile che questi immunizzazioni ti facciano infettare di più».
L’efficacia dei immunizzazioni contro Omicron e Delta
Anche lo studio sul vaccino di Moderna (mRNA-1273), apparso su Nature nel febbraio 2022 col titolo «Effectiveness of mRNA-1273 against SARS-CoV-2 Omicron and Delta variants», non sembra essere stato letto con attenzione da chi vorrebbe dimostrare che i immunizzazioni sarebbero inutili.
Come nel Gattopardo tutto cambia perché tutto resti uguale, così Frajese passa da uno studio all’altro, ma la loro spiegazione è sempre la stessa: parliamo ancora di una ricerca che non smentisce affatto l’efficacia vaccinale (VE) che ci interessa, ovvero contro le forme gravi, inoltre gli autori incoraggiano la somministrazione di una Terza dose:
Il VE a tre dosi contro il ricovero in ospedale con Delta o Omicron era >99% nell’intera cittadinanza dello studio. I nostri risultati dimostrano VE a tre dosi è elevata e durevole contro l’infezione Delta ma c’è un’efficacia inferiore contro l’infezione da Omicron, in particolare tra le persone immunocompromesse. Tuttavia, tre dosi di […] vaccino mRNA-1273 erano elevate contro il ricovero in ospedale contro le varianti Delta e Omicron.
Possiamo trovare delle conclusioni analoghe anche nell’abstract del preprint «Vaccine effectiveness against SARS-CoV-2 infection with the Omicron or Delta variants following a two-dose of booster BNT162b2 of mRNA-1273 vaccination series: A Danish cohort study»:
Il nostro studio fornisce prove di protezione contro l’infezione con la variante Omicron dopo il completamento di una serie di vaccinazioni primarie con i immunizzazioni BNT162b2 o mRNA-1273; in particolare, abbiamo trovato un VE contro la variante Omicron del 55,2% (intervallo di confidenza 95% (CI): da 23,5 a 73,7%) e 36,7% (IC 95%: da 69,9 a 76,4%) per i immunizzazioni BNT162b2 e mRNA-1273, rispettivamente, nel primo mese dopo l’immunizzazione primaria. Tuttavia, il VE è significativamente inferiore a quello contro l’infezione da Delta e diminuisce rapidamente in pochi mesi. La VE viene ristabilita dopo la rivaccinazione con il vaccino BNT162b2 (54,6%, IC 95%: da 30,4 a 70,4%).
Idem dicasi per lo studio retrospettivo italiano «Effectiveness of mRNA vaccines and warning of protection against SARS-CoV-2 infection and severe covid-19 during predominant circulation of the delta variant in Italy: retrospective cohort study»:
I risultati supportano le campagne di vaccinazione rivolte alle persone ad alto rischio, alle persone di età ≥60 anni e agli operatori sanitari per ricevere una dose di richiamo del vaccino sei mesi dopo il ciclo di vaccinazione primaria. I risultati suggeriscono inoltre che potrebbe essere giustificato programmare la dose di richiamo prima di sei mesi dopo il ciclo di vaccinazione primaria e estendere l’offerta della dose di richiamo alla cittadinanza ammissibile più ampia.
Depressione e ansia nei giovani durante la Pandemia. Ma i immunizzazioni che c’entrano?
Secondo quanto riportato da Frajese «1 giovane su 4 a livello globale presenta sintomi di depressione clinicamente elevati, mentre 1 giovane su 5 presenta sintomi d’ansia clinicamente sostenuti. Un confronto di questi risultati con le stime pre-pandemiche (12,9% per la depressione e 11,6% per l’ansia) suggerisce che le difficoltà della salute mentale dei giovani durante la pandemia di COVID-19 sono probabilmente raddoppiate.”».
La fonte è lo studio intitolato «Global Prevalence of Depressive and Anxiety Symptoms in Children and Adolescents During COVID-19 A Meta-analysis», apparso su JAMA Pediatrics nell’agosto 2021. Una domanda a questo punto sorge spontanea: cosa c’entrano i immunizzazioni? Ce lo chiediamo perché il termine «vaccine» non compare mai nel testo.
Problemi cardiovascolari nei vaccinati sotto i 40 anni
Farjese cita anche lo studio intitolato «Increased emergency cardiovascular events among under-40 population in Israel during vaccine rollout and third COVID-19 wave», che come riporta «mira a valutare l’associazione tra il volume di arresti cardiaci e le chiamate per sindrome coronarica acuta al EMS nella cittadinanza di 16-39 anni con potenziali fattori, compresi i tassi di infezione e di vaccinazione per COVID-19. “Nel periodo gennaio-maggio 2021 è stato rilevato un aumento di oltre il 25% in entrambi i tipi di chiamata, rispetto agli anni 2019-2020.”».
Ma troviamo una nota ben precisa, datata 5 maggio 2022, dove l’editore mette in guardia i lettori:
Si avvisano i lettori che le conclusioni di questo articolo sono soggette a critiche che sono al vaglio della redazione. Un’ulteriore risposta editoriale seguirà una volta che a tutte le parti sarà stata data l’opportunità di rispondere in modo completo.
Effettivamente gli autori si basano su delle mere segnalazioni, anche se, a onor del vero, spiegano anche loro che non è possibile stabilire un nesso causale.
immunizzazioni e trascrizione inversa
Verso la fine troviamo una nostra vecchia conoscenza, lo studio dell’Università di Lund intitolato «Intracellular Reverse Transcription of Pfizer BioNTech COVID-19 mRNA Vaccine BNT162b2 In Vitro in Human Liver Cell Line», già trattato in un nostro precedente articolo.
Il paper stesso – continua la nostra analisi su Open Fact-checking -, prodotto dal gruppo di ricerca guidato da Magnus Rasmussen e Yang De Marinis, era stato già analizzato da Flora Teoh su Health Feedback il 7 marzo. Troviamo anche una analisi del professor Enrico Bucci, esperto proprio nella revisione degli studi scientifici, pubblicata nella sua pagina Facebook il 12 marzo. Altre verifiche sono state pubblicate dai colleghi di AAP il 17 marzo 2022. […] L’idea che i immunizzazioni a mRNA potessero alterare il DNA è stato più volte cavalcato negli ambienti No vax, senza mai presentare autentiche prove in merito, come abbiamo spiegato in più occasioni negli articoli del progetto Open Fact-checking (qui, qui e qui).
Gli anticorpi di classe A
Chiudiamo con lo studio di Nature intitolato «Systemic and mucosal IgA responses are variably induced in response to SARS-CoV-2 mRNA vaccination and are associated with protection against subsequent infection». Secondo quanto riporta Frajese dal paper possiamo riscontrare, che «i guariti da COVID-19 hanno prodotto IgA (anticorpi di classe A), che sono quelli che bloccano il virus nel naso o in bocca, prima che entri nel corpo. Gli inoculati coi cosiddetti “immunizzazioni” a mRNA hanno anticorpi IgG (interni) ma poco o nulla IgA. Il che significa in poche parole che il virus può vivere e proliferare nel naso e in bocca e può essere diffuso alle altre persone».
«Questa è la parte più delicata – spiega Stingi -, perché gli IgA creano una barriera che blocca l’infezione, quindi secondo Frajese sarebbero meglio del vaccino. Formalmente è vero. Ovviamente il virus passando per le vie respiratorie induce la produzione di anticorpi IgA, mentre il vaccino lo faccio intramuscolo».
Ma produciamo gli anticorpi IgG, la cui permanenza ci protegge dalle forme gravi di Covid-19. «La risposta indotta dal vaccino, anche se non produce IgA è migliore – conclude Stingi -, perché induce anche l’intervento dei linfociti T, B, IgG, eccetera. Certamente inducendo anticorpi IgA avremmo un vaccino sterilizzante, creando una barriera naso-bocca; però per avere un risultato del genere devi comunque avere tante IgG. In futuro si potrebbe fare una prima dose nel braccio e una seconda con spray nasale. Sicuramente il messaggio dello studio citato non è che l’infezione è meglio del vaccino».
Conclusioni
Frajese interpreta gli studi che cita basandosi su alcune parti che meglio si sposano con la sua visione critica dei immunizzazioni, tralasciando altre dove gli stessi ricercatori palesemente non dimostrano affatto quanto sostenuto dal medico, creando così un contesto non corretto che fa passare l’immagine di un dibattito aperto in seno alla Comunità scientifica riguardo alla effettiva utilità dell’immunità indotta dalla vaccinazione rispetto a quella naturale.
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Scritto da Juanne Pili perwww.open.online il 2022-05-30 12:16:35 ,