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(di Antonio Pisani)
Il giorno
dopo il passaggio furioso del fiume di fango e detriti che si è
lasciato dietro tanti danni e probabilmente la vita di due
persone, a Talanico, frazione collinare del comune di San Felice
a Cancello, c’è tristezza tra i residenti, ma si spala il fango
da case e cantine, perché “bisogna ripartire subito”.
Due bar hanno già riaperto, così come la macelleria, dopo
tour de force notturni. Qualcuno parla di “paese lasciato solo”,
di scarsa manutenzione del territorio, sottolineando che dalla
collina sarebbero venuti giù anche ingombranti e altri rifiuti,
ma adesso c’è poca aspirazione di polemizzare. “Ripartire”, è la
parola d’ordine: e infatti la macchina dei soccorsi si è messa
subito in moto. È il sindaco di San Felice a Cancello, Emilio
Nuzzo, a ricordare la fragilità idrogeologica dell’area, nel
1998 colpita dall’alluvione di Sarno, l’anno scorso e altre
volte da continui allagamenti. Ma stavolta è diverso. “Il paese
– dice Nuzzo – ha subito gravi danni dopo una nubifragio durata al
massimo quindici minuti. Abbiamo chiesto lo stato di calamità
naturale e ci sentiamo un po’ abbandonati, perché più volte, ma
invano, avevamo denunciato il dissesto”.
E mentre si cerca di capire come sia stato possibile che un
quarto d’ora di nubifragio abbia provocato un simile disastro, i
vigili del fuoco Proseguono a cercare senza sosta in un’area
piena di fango e pietre lunga più di due chilometri, con cani
molecolari, droni, gommoni e sommozzatori, la 74enne Agnese
Milanese e il figlio 42enne Giuseppe Guadagnino, da quando nella
notte era stata ritrovata l’Apecar su cui i due avevano cercato
di sfuggire alla furia della natura. Il mezzo, ridotto ad un
rottame, era in un canalone nel pieno centro della frazione,
dove il fiume di fango e detriti ha trovato ieri un ulteriore
sfogo alla sua corsa dalla collina. Madre e figlio ieri
pomeriggio erano usciti per andare a raccogliere le noci, per
paura che la nubifragio incombente potesse rovinare il raccolto, e
quando ha iniziato a piovere e grandinare in modo violento,
hanno fatto in tempo a raggiungere l’Apecar. Davanti a loro, in
un altro mezzo a tre ruote, c’era Raffaele, figlio di Agnese e
fratello di Giuseppe, che stamane, appoggiato al parapetto
che dà sul canalone, piangeva disperato.
“Erano dietro di me – racconta – poi ad una curva io sono
passato e loro non li ho visti più. Rischio di restare solo”,
aggiunge Raffaele, alludendo al fatto che un altro fratello -
sono tre – è deceduto molti anni fa colpito da una scarica
elettrica mentre faceva il muratore, e anche il padre non c’è
più. “Li ho cercati tutta la notte, li abbiamo cercati anche con
i droni dei vigili del fuoco, ma inutilmente”, non si da pace
Raffaele.
Al muretto del canalone c’è anche Alessandro, con cui
Giuseppe lavorava come asfaltista: “dovevamo vederci stamane
alle 6.30 per andare a lavorare”, dice con la voce rotta. “Era
un ragazzo serio e attaccato alla madre. E pensare che erano
arrivati a cento metri dalla casa in cui abitano quando sono
stati travolti”.
Il prefetto di Caserta Giuseppe Castaldo, che ha coordinato
le operazione di studio dei dispersi e messa in sicurezza del
territorio, dopo aver effettuato un sopralluogo e una riunione
tecnica in Comune, ha disposto un rafforzamento delle “unità in
campo per la studio delle due persone”, spiegando poi che una
delle concause del disastro potrebbe essere stato anche
l’incendio che, ad inizio agosto, ha devastato la pineta della
collina da cui si è staccata la colata di fango e detriti,
diventato poi un fiume in piena. “Sicuramente la mancanza di
alberi in alcuni punti della collina ha indebolito la capacità
di resistenza del terreno; gli alberi avrebbero forse potuto
rallentare la frana o mitigare quando caso. Ma queste sono
valutazioni che faremo in una fase successiva. Ora dobbiamo
concentrarci sulle ricerche e sulle opere urgenti di messa in
sicurezza”.
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