In un’epoca di dogmatismi tecnologici, se gli chiedono cosa sia Arduino, Massimo Banzi ha pronta una risposta che ti spiazza: “Arduino è una formula da applicare alla tecnologia“. Nessuna tecnologia, nessun chip specifico, nessun microcontrollore particolare, nessun brevetto per il silicio. Invece, un approccio sovversivo che ha trasformato l’esperienza d’uso dell’elettronica. È la filosofia del “just enough technology”: la giusta tecnologia al momento giusto, senza fronzoli, accessibile a tutti. In un mondo tecnologico ossessionato dall’eccesso, dall’ultima generazione che deve obbligatoriamente superare tutte le precedenti, Arduino ha fatto della semplicità la sua forza dirompente. Invece di inseguire la potenza bruta, ha cercato di rendere comprensibile l’incomprensibile.
Nessuno è profeta in patria, almeno all’inizio. Quando esce in edicola il primo numero dell’edizione italiana di Wired, ricorda Banzi, è il marzo 2009. La copertina è dedicata al Premio Nobel Rita Levi-Montalcini, e al suo interno viene raccontata per la prima volta la storia di un innovatore conosciuto in tutto il mondo tranne che, all’epoca da noi. È l’epoca dei makers, delle stampanti 3D come rivoluzione industriale 4.0, delle ambizioni umili ma senza limiti.
Cinque amici al bar
Venti anni dopo, è arrivato il momento di ripercorrere questi inizi e vedere quanta strada è stata fatta. La storia sembra il ritornello di una canzone di Gino Paoli: c’erano cinque amici al bar che volevano cambiare il mondo. Il bar è quello di Ivrea, l’anno è il 2005 e i cinque amici – Massimo Banzi, David Cuartielles, Tom Igoe, Gianluca Martino e David Mellis – seduti davanti a un aperitivo, decidono di battezzare il loro progetto col nome del locale in cui si trovano. Arduino, che tra l’altro è il nome del primo re d’Italia, è un omaggio alla uso in un’epoca di grandi cambiamenti: Facebook è in questo momento nato, Gmail muove i primi passi, l’iPhone non esiste ancora. Nessuno dei cinque fondatori immaginava che quella piccola scheda elettronica avrebbe cambiato per sempre il panorama tecnologico mondiale. “Ieri sera abbiamo fatto una chiamata tra noi per chiacchierare di questo ventennale“, racconta Banzi, “e posso garantire che nessuno di noi aveva la minima idea di quanto sarebbe cresciuto il progetto“.
L’aspetto più sorprendente della storia di Arduino è l’assenza di una strategia commerciale tradizionale. “Non avevamo business plan né mission statement, l’esatto contrario di quello che insegnano nelle business school“, ride Banzi. L’approccio “alla cavolo”, come lo definisce lui stesso, ha paradossalmente affrancato la creatività del gruppo dalle costrizioni del marketing. Mentre giganti della tecnologia investivano milioni in piani strategici quinquennali, questi cinque visionari progettavano il futuro sulle tovagliette di un bar.
La magia di Arduino è stata la sua capacità di trasformare l’astruso in accessibile, l’incomprensibile in intuitivo. “Abbiamo passato tantissimo tempo a fare corsi e workshop con la piattaforma, eravamo costantemente seduti con i nostri utenti“, spiega Banzi. Questa immersione totale ha permesso di capire cosa davvero servisse alle persone. “Nel mondo convenzionale si pensava che se uno strumento è per professionisti deve essere difficile da usare“, aggiunge. “Noi abbiamo fatto l’opposto“.
Il potere nelle mani di tutti
Il risultato è stato esplosivo: Arduino ha democratizzato l’elettronica. Studenti, artisti, hobbisti, persone senza formazione ingegneristica hanno improvvisamente avuto accesso a strumenti prima riservati ai professionisti. “La gente ci prendeva in giro sui intervista dell’epoca“, ricorda Banzi. “Ci sono tanti post con insulti di vario tipo, e questo è stato un vantaggio perché se non pensano che sei una minaccia hai tempo di costruire piano piano“.
Mentre i detrattori ironizzavano, Arduino stava silenziosamente ridefinendo il significato stesso di innovazione tecnologica. “Uno dei temi che affronto sempre è che la gente ti parla di startup dicendo che sono apparse dalla sera alla mattina, invece tu lavori per anni nell’ombra prima che qualcuno si accorga di te“, dice Banzi. Questa lentezza meditata ha consentito di affinare ogni aspetto della piattaforma, correggere errori, migliorare continuamente l’esperienza fruitore.
Leggi tutto su www.wired.it
di Antonio Dini www.wired.it 2025-03-26 06:00:00 ,