Ha vinto, parzialmente, la mobilitazione cresciuta dal basso per contestare l’impostazione della discussa mostra su Artemisia Gentileschi, in corso in queste settimane a Palazzo Ducale, a Genova. Dopo la prima denuncia delle studentesse in Storia dell’Arte dell’ateneo genovese, e l’ondata di polemiche sollevata da attiviste, associazioni e collettivi femministi con nel mirino in particolare una sala dell’esposizione, giudicata “la cronaca di uno stupro”, nelle ultime ore il percorso espositivo è stato in parte “corretto” in corsa. La mostra questa mattina è rimasta chiusa a sorpresa per qualche ora, e la sala incriminata cambiata nell’allestimento: aggiunte tende nere nella sala e nell’accesso allo spazio espositivo, ora le attiviste chiedono possano cambiare anche i testi descrittivi delle opere finiti sotto accusa.
Inaugurata dall’allora sottosegretario di governo Vittorio Sgarbi e promossa in tutta Italia (in questa settimana un quadro della mostra è stato esposto anche all’Ariston di Sanremo, per il Festival), la mostra era finita nelle polemiche per l’impostazione della sala in cui veniva ricostruito e raccontato il rapporto tra l’artista e Agostino Tassi, autore della violenza su Artemisia Gentileschi, la cui frase “Io del mio mal ministro fui”, utilizzata per raccontare lo stupro, è diventato persino materia da merchandising, in vendita su magliette e borse nel bookshop ufficiale della mostra.
Un ambiente dove si può ascoltare una voce “rievocare con enfasi le fasi dello stupro, così come raccontate da Artemisia durante il processo, indugiando parecchio sui particolari e su un letto, fisico, da cui scende un profluvio di sangue”, ricordano le attiviste che contestano la mostra, “che non c’entra nulla con la comprensione e la valorizzazione di un’artista, ma è voyeurismo, una micidiale operazione patriarcale”.Dopo le tante polemiche e il confronto richiesto e ottenuto con il curatore della mostra Costantino D’Orazio, che aveva prima aperto e poi negato alle tante anime della protesta la possibilità di un cambiamento in corsa del percorso espositivo, la scorsa settimana era arrivata una richiesta formale dall’ampio e vario collettivo che si è mobilitato sul caso. Artiste, curatrici, studentesse, associazioni femministe – tra queste Nonunadimeno e le studentesse del corso di laurea in Beni culturali dell’Università di Genova – si erano ritrovate nel firmare la stessa lettera aperta, rivolta alla Fondazione per la Cultura (l’ente che gestisce il Ducale e ospita la mostra), Comune di Genova e Regione Liguria, coorganizzatori e promotori dell’esposizione, con due richieste in particolare. La chiusura della sala dedicata all’allestimento immersivo del racconto dello stupro da parte della pittrice secentesca, e il ritiro dal bookshop del palazzo di tutti i gadget riconducibili allo stupro, e all’autore dello stupro raccontato in mostra. Un primo passo per ammettere l’errore, con l’aggiunta del sipario nero nella sala dello stupro, è stato fatto. “Ora – fanno capire dal fronte della contestazione – aspettiamo il resto”.
[email protected] (Redazione Repubblica.it) , 2024-02-11 17:29:03 ,genova.repubblica.it