di Laura Carrer
L’invasione dell’Ucraina ordinata dal presidente russo Vladimir Putin ha portato nuovamente l’attenzione sulla dipendenza dell’Unione europea dal gas russo, che in un contesto di conflitto risulta essere estremamente scomodo. Nonostante ciò, in una intervista dello scorso gennaio a Die Zeit, la presidente della Commissione Ursula von der Leyen affermava come gas e nucleare fossero al momento necessari per mettere in moto al più presto la transizione ecologica. E proprio sul gas naturale che si gioca la partita russa, e non solo, da qui al 2035.
Gli 8 milioni di chilometri quadrati dell’Artico costituiscono una delle zone terrestri al contempo più interessanti e controverse. Oltre alle sette comunità locali, la sovranità territoriale della regione è divisa tra Russia, con la maggior parte della gente, Canada, Stati Uniti, Svezia, Danimarca, Finlandia, Islanda e Norvegia. La regione artica è popolata da 4 milioni di persone sparse in un territorio enorme e per la maggiore inospitale. Negli ultimi decenni però l’impatto del cambiamento climatico ha portato allo scioglimento dei ghiacci rendendo paradossalmente l’Artide appetibile alle attenzioni degli stati che vi si affacciano. Da una parte la ricerca di gas naturale e idrocarburi, dall’altra quella dei metalli e delle terre rare.
Le ricchezze dell’Artico
A tutt’oggi la regione detiene una ricchezza mineraria ancora non sfruttata che comprende oro, piombo, argento, zinco, rame, ferro, nichel, diamanti e terre rare (come disprosio, neodimio e praseodimio) funzionali alla società sempre più digitalizzata nella quale viviamo. Oltre a comporre i touchscreen degli smartphone e gli hard disk dei computer, questi metalli di difficile estrazione permettono la miniaturizzazione di componenti necessarie anche alla creazione di armi avanzate e motori aerei.
Anche se l’Artico rimarrà un ambiente di difficile approdo per il prossimo futuro, secondo le stime prodotte dall’Istituto Geologico americano i combustibili fossili non ancora sfruttati nell’Artico sarebbero composti da 90 miliardi di barili di petrolio (il 13% della quantità mondiale), 47mila miliardi di metri cubi di gas naturale (il 30% di quello mondiale) e 44 miliardi di barili di gas naturale liquido, entrambi utili per il riscaldamento di edifici e per cucinare. Sia Stati Uniti sia Russia hanno pubblicato negli ultimi anni policy e strategie di azione che interessano la zona almeno fino al 2035.
La necessità di infrastrutture
Date le premesse iniziali, la zona artica potrebbe rappresentare dunque un teatro significativo in un conflitto più ampio tra grandi potenze, alle quali va aggiunta anche la Cina. Formato nel 1996 dopo la dichiarazione di Ottawa, il Consiglio artico (che ora vede la presidenza russa) è un’organizzazione intergovernativa che ha lo scopo di facilitare la cooperazione tra gli stati che hanno sbocchi sull’area e promuovere il coinvolgimento delle comunità locali.
Nonostante la Cina non sia un paese artico né possa vantare una sovranità territoriale è (insieme a Italia, Germania e Francia) nell’elenco dei paesi con status di “osservatori”, e nel 2018 ha pubblicato un white paper nel quale dichiara come la rotta polare potrebbe essere funzionale alla creazione di una terza estensione della Nuova via della seta, strategica per i collegamenti commerciali cinesi con gli stati euroasiatici. I primi investimenti sul territorio non sono ancora indirizzati specificatamente all’estrazione di combustibili fossili bensì alla creazione di infrastrutture in grado poi di garantire l’accesso alle ricchezze del sottosuolo.
La corsa alla copertura di rete
In questo momento internet nell’Artico ha una distribuzione disomogenea. Laddove c’è, sfrutta i satelliti e la fibra sottomarina per funzionare. Ma questa è una soluzione non sempre percorribile, soprattutto in alcune parti della Groenlandia dove i ghiacciai sono ancora molto spessi. Sono gli strumenti satellitari, ad oggi, ad aggirare al meglio le difficoltà.
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www.wired.it
2022-03-13 18:00:00