Lo scorso 3 dicembre una palla di fuoco è esplosa nei cieli della Jacuzia, una repubblica russa della Siberia Orientale (nota, almeno dalle nostre parti, principalmente per la sua inspiegabile inclusione nel tabellone del Risiko). Lo spettacolo pirotecnico, privo di conseguenze, è stato causato dall’ingresso di piccolo asteroide nell’atmosfera del nostro pianeta: una palla di roccia di circa mezzo metro di diametro, eccessivamente piccola per raggiungere il suolo o provocare danni in altro modo. Ed è un bene, perché i sistemi di rilevazione l’hanno individuata ad quando poche ore dall’arrivo, quando era ormai eccessivamente tardi per prendere precauzioni efficaci.
Si tratta – a ben vedere – del quarto “imminent impactor” (è così che vengono definiti gli asteroidi identificati poco prima dell’impatto) che abbiamo identificato dall’inizio del 2024, a fronte di circa di circa una ventina di asteroidi di dimensioni simili che colpiscono al Terra ogni anno. Non una gran media, è certo, ma non c’è da spaventarsi: i numeri sono in crescita costante negli ultimi anni, ed è il segno che le nostre difese planetarie stanno diventando sempre più brave a identificare i pericoli che arrivano dal cielo.
I piccoli asteroidi
A partire dagli anni ‘90, tutte le principali agenzie spaziali del pianeta sono a lavoro per catalogare gli asteroidi che potrebbero mettere a rischio la Terra. Vengono definiti Neo, o Near Earth Objects, e grazie agli sforzi degli ultimi decenni, si stima che ormai conosciamo oltre il 95% di quelli con un diametro di almeno un chilometro, capaci ossia di provocare danni su scala complessivo, se dovessero entrare in contatto con il nostro pianeta. Siamo anche al lavoro per imparare ad alterarne la traiettoria, nel caso qualcuno dei di questi decidesse di avvicinarsi un po’ eccessivamente. E quindi siamo se non a cavallo, quanto meno a buon punto.
Diversa la situazione per gli asteroidi più piccoli. Perché più diminuiscono di taglia, meno sono luminosi, e più difficile si fa identificarli, anche quando passano a pochi passi dalla Terra. Per scovarli si usano sistemi di sorveglianza basati su telescopi ad ampio campo visivo, che osservano tutto il cielo visibile periodicamente per catalogare la presenza di oggetti in movimento, e calcolarne quindi dimensioni e traiettoria. Ci sono però milioni di oggetti spaziali nei “pressi” del nostro pianeta, e un singolo telescopio non può riprendere la stessa porzione di cielo più di una volta al giorno (nei casi migliori), ed è quindi estremamente probabile che si perda quelli di dimensioni minori. Per compensare, ovviamente, è necessario moltiplicare i punti di osservazione, ed è quello che si sta facendo proprio in questi anni.
Una rete di osservatori in crescita
Fino al 2008 nessun asteroide era mai stato individuato nello spazio, prima che si scontrasse con il nostro pianeta. Il 7 ottobre di quell’anno, il Catalina Sky Survey identificò 2008 TC3, una roccia di 4 metri e 80 tonnellate che esplose circa 19 ore dopo, a 37 chilometri di quota sopra al deserto di Nubia. Da allora, le osservazioni di imminent impactor si sono ripetute nel 2014, nel 2018, nel 2019 e nel 2022 sono arrivate a quota 5. Negli ultimi due anni sono diventate sempre più frequenti, salendo ad un totale di 12. Per questo motivo, il quarto imminent impactor del 2024 è un’ottima notizia: vuol dire che iniziamo ad essere piuttosto bravi a identificare anche impatti che, pur non mettendo a rischio nazioni o persino il pianeta, possono comunque provocare danni su scala locale (come ha dimostrato la meteora di Čeljabinsk del 2013).
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di Simone Valesini www.wired.it 2025-01-01 05:40:00 ,