Chi si imbarca in una simile impresa è pronto ad accettare il rischio che qualcosa possa cambiare. Parliamo della vita da astronauta e del fatto che la permanenza per periodi prolungati nello spazio possa avere delle ricadute sul fisico e sulla psiche. E oggi, grazie al lavoro di un team della Nasa che ha messo insieme un significativo numero di dati, sappiamo qualcosa di più sulle conseguenze delle missioni spaziali a livello cognitivo.
Gli effetti delle missioni spaziali
Parliamo dei risultati che emergono dall’analisi relativa a quanto osservato su un campione di 25 astronauti. Di per sé non è un numero elevato, ma è necessario considerare che parliamo di una cittadinanza piuttosto ristretta. Non di rado, infatti, gli studi che analizzano gli effetti delle missioni spaziali sul corpo non contano che pochi astronauti, e ad oggi a viaggiare nello spazio sono state solo 660 persone circa. Ecco perché gli stessi ricercatori ci tengono a sottolineare la grandezza del campione.
Malgrado l’esiguità della cittadinanza, la mole di dati accumulata da diversi studi nel campo è ormai notevole e ci ha permesso di avere un’idea di quello che succede una volta in orbita. Un’esigenza decisivo per gli esperti se vogliamo sia per assicurare il benessere degli astronauti che la riuscita delle missioni. Così, per esempio, sappiamo che lo spazio può causare la perdita di massa muscolare, determinare problemi di equilibrio, peggiorare la vista, causare una sorta di nausea spaziale o ancora favorire l’osteoporosi e causare piccole modifiche all’anatomia del cervello. Ma cosa accade a livello funzionale? Quanto pesano, in sostanza, fattori fisici come microgravità ed esposizione alle radiazioni, o psichici, come l’isolamento, sulle performance cognitive? È esattamente a queste domande che ha provato a rispondere lo studio odierno.
Lo studio della Nasa sulla sfera cognitiva
Il lavoro ha riguardato, dicevamo, 25 astronauti, su cui ricercatori del Behavioral Health and Performance Laboratory della Nasa hanno condotto una batteria di test al computer, sviluppati per indagare proprio le performance cognitive (Cognitive Battery).
I test in questione, si legge nell’articolo che riassume i risultati, su Frontiers in Physiology, indagavano diversi aspetti, quali la capacità di riconoscere le emozioni, di associare tra loro oggetti, o di abbinare tra loro numeri e figure, la prontezza dei riflessi e la capacità di orientamento spaziale. Accanto ad analisi qualitative i ricercatori hanno condotto anche analisi quantitative, per capire per esempio la velocità di esecuzione dei diversi compiti. Questa batteria di test è stata eseguita prima, durante e dopo la fine delle missioni (della durata media di sei mesi), e per lo studio sono stati raccolti anche altri parametri, come ore di sonno dormite a ridosso dei test e livello di vigilanza percepita. In questo modo i ricercatori miravano a raccogliere informazioni sull’evoluzione temporale di eventuali effetti della permanenza nello spazio sulla sfera cognitiva.
Nessun declino cognitivo, ma…
Il principale risultato, il più rassicurante, è che malgrado la vita in orbita sia senza dubbio stressante, non si osservano declini cognitivi nel campione di astronauti studiati, senza nessuna variazione nella capacità di ragionare, apprendere o ricordare. Forse perché sei mesi sono un tempo limitato, scrivono i ricercatori, ricordando che il famoso studio sui gemelli della Nasa – quando uno partì per un anno nello Spazio e l’altro rimase a casa – qualche indizio invece di declino cognitivo in seguito all’esperienza, tra l’altro, lo osservò. Questo però non significa che qualcosa non cambi, e in effetti, qualche effetto di (piccola entità) ricollegabile alla permanenza in orbita è stato identificato dai ricercatori del Behavioral Health and Performance Laboratory.