Facebook ha provato a frenare i post più caldi che incitavano alla violenza in occasione dell’attacco a Capitol Hill del 6 gennaio scorso. Ma non c’è riuscita. È quanto emerge da alcuni documenti interni all’azienda, citati anche dal Financial Times, che evidenziano il tentativo maldestro del social, nonostante pochi giorni dopo i fattacci di Washington, Sheryl Sandberg, direttore operativo di Facebook, avesse minimizzato sul ruolo dei social media in questa vicenda.
Un momento buio
I documenti – forniti al Congresso e a un consorzio di testate giornalistiche dalla ex dipendente, Frances Haugen – fanno parte di un dossier più ampio e citano ricerche e documenti interni dell’azienda che mostrano come Facebook fosse consapevole di molti dei danni causati dalle sue app e dai suoi servizi, ma non abbia risolto i problemi o abbia fatto fatica a risolverli.Tutto questo arriva in un momento storico molto difficile per Facebook. Mentre la società madre (Facebook Inc.) si appresta a cambiare nome, il social è alle prese con una serie di grattacapi sul fronte delle pubbliche relazioni che ne stanno facendo il momento più buio dopo lo scandalo di Cambridge Analytica.
Troppo lenti e troppo tardi
Un paio di settimane fa, proprio Frances Haugen – ormai whistleblower di Facebook su più fronti, sostenuta in questa battaglia da Pierre Omidyar, ideatore di eBay – ha testimoniato davanti al Congresso accusando Facebook di preferire i profitti alla sicurezza dei suoi utenti. E nei prossimi giorni, la stessa Haugen apparirà davanti al parlamento del Regno Unito. Vedremo cosa succederà. Il New York Times riporta che, sulla base di documenti forniti dalla Haugen, un data scientist di Facebook ha scritto ai suoi colleghi per dire che il 10% di tutte le opinioni degli Stati Uniti sui contenuti politici erano di post che affermavano che le presidenziali fossero fraudolente.La storia emersa oggi racconta proprio che durante le Presidenziali americane del 2020, Facebook aveva irrobustito i team di “sorveglianza” per controllare i post che incitavano alla violenza e riportavano fake news. Questo muro, però, è stato eretto fino al voto. Dopo il 3 novembre, invece, la guardia sarebbe stata abbassata. E il 6 gennaio, giorno degli scontri ormai celebri di Capitol Hill, il social ha cercato di intervenire in fretta per riattivare le misure di emergenza, Ma era troppo tardi.
Alle 14:00 del 6 gennaio, quando i rivoltosi hanno iniziato a scontrarsi con la polizia sui gradini del Campidoglio e a sfondare le porte e le finestre del Senato degli Stati Uniti, secondo i documenti trapelati Facebook non aveva ancora attivato alcuna misura per contenere i post che intanto stavano diventando virali e incitavano all’attacco contro il Campidoglio.
Facebook ha precisato di aver disattivato alcune funzioni chiave, come i video in diretta bloccati dai sistemi di intelligenza artificiale. Ma in una denuncia alla Securities and Exchange Commission degli Stati Uniti, Frances Haugen ha sostenuto che alcune misure sono state adottate «solo dopo che l’insurrezione è divampata». Un altro documento interno a Facebook, riportato per la prima volta dal sito BuzzFeed, dimostra che gruppi come “Stop the Steal” sono stati in grado di raggiungere tassi di crescita molto importanti. E circa il 30% degli inviti proveniva da appena lo 0,3% degli account, come quelli degli attivisti di estrema destra Ali Alexander e Amy Kremer. E diversi documenti hanno dimostrato che gli stessi dipendenti di Facebook si sono detti preoccupati per la mancata segnalazione e prevenzione di sforzi coordinati come nel caso di “Stop the Steal”.