La Corte costituzionale ha inferto un duro colpo al progetto di autonomia differenziata, la legge fortemente voluta dalla Lega che permetterebbe alle regioni di gestire in autonomia materie oggi di competenza statale. I giudici hanno accolto parzialmente i ricorsi presentati da quattro regioni guidate dal centrosinistra – Puglia, Toscana, Sardegna e Campania – dichiarando illegittimi sette punti chiave del provvedimento promosso dal ministro per l’Autonomia Roberto Calderoli. Una decisione che, di fatto, blocca l’applicazione della legge finché il parlamento non interverrà per correggere le parti bocciate.
Una bocciatura selettiva ma sostanziale
La Consulta non ha dichiarato incostituzionale l’intero struttura della legge, come chiedevano le regioni ricorrenti nei loro ricorsi, ma ha individuato sette specifici profili di illegittimità che toccano il cuore stesso del provvedimento. Uno degli aspetti più critici riguarda la definizione dei Livelli essenziali delle prestazioni (Lep), ovvero quell’insieme di servizi fondamentali – dalla sanità all’istruzione, dal welfare ai trasporti – che lo stato deve garantire in modo uniforme su tutto il territorio nazionale.
La legge Calderoli prevedeva che questi livelli venissero definiti dal governo attraverso una delega legislativa, ma secondo la Corte questa delega è stata conferita “senza idonei criteri direttivi”, finendo così per svuotare “il ruolo costituzionale del parlamento”. Non solo: i giudici hanno anche bocciato il meccanismo che permetteva di aggiornare i Lep attraverso un semplice decreto del presidente del Consiglio dei ministri. Una disposizione che, di fatto, avrebbe dato all’esecutivo un potere eccessivo su una materia tanto delicata per i diritti dei cittadini.
I punti bocciati e le conseguenze
Un altro aspetto decisivo dichiarato incostituzionale riguarda il sistema di finanziamento delle nuove competenze regionali. La legge prevedeva che il governo potesse modificare, con un semplice decreto ministeriale, la quota di tasse statali da destinare alle regioni per sovvenzionare i nuovi servizi trasferiti. Come spiega l’Ansa, i giudici hanno bocciato questo meccanismo perché rischiava di ricambiare proprio le regioni meno efficienti: quelle che, dopo aver ottenuto i fondi dallo stato, non riuscivano a garantire i servizi con quelle risorse avrebbero potuto chiedere altri soldi.
Bocciata anche l’estensione dell’autonomia differenziata alle regioni a statuto speciale come Sicilia, Sardegna, Valle d’Aosta, Trentino-Alto Adige e Friuli-Venezia Giulia. Secondo la Consulta queste regioni hanno già proprie forme di autonomia garantite dalla Costituzione e, se vogliono ottenerne di nuove, devono seguire le procedure previste dai loro statuti speciali.
La Corte ha anche voluto fissare un principio fondamentale: l’autonomia non serve a distribuire potere politico tra stato e regioni, ma deve migliorare i servizi per i cittadini. I giudici hanno sottolineato che il decentramento dei poteri deve avvenire “in funzione del bene comune”. Questa decisione avrà conseguenze anche sul referendum che era stato promosso contro la legge. A luglio erano state raccolte 500mila firme per chiedere ai cittadini di votare sull’abrogazione del provvedimento. Ora questi quesiti dovranno essere prima vagliati dalla Cassazione e dalla stessa Corte costituzionale. Se superassero questo esame, il voto si terrebbe tra aprile e giugno del prossimo anno.
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di Riccardo Piccolo www.wired.it 2024-11-15 08:54:00 ,