Ma era davvero necessario un seguito di Avatar?
È quello che abbiamo pensato un po’ tutti quando James Cameron, non pago di aver realizzato il più alto incasso della storia del cinema e di aver settato un nuovo standard di qualità per quel che riguarda l’uso del 3D e della CGI nei film, annunciò che avrebbe dato non uno, ma ben quattro seguiti alle vicende di Jake Sully e Neytiri su Pandora.
Perché sì, Avatar detiene il più alto incasso della storia del cinema, ma presenta anche una vicenda perfettamente autoconclusiva.
Ha settato un nuovo standard qualitativo per l’uso del 3D e della CGI, ma ha anche un intreccio talmente semplice e archetipico da essere stato più volte apostrofato come “Pocahontas con gli alieni”.

E se dopo tredici anni le vicende dei Na’vi non dovessero più far presa sul pubblico come una volta?
E se la realizzazione di ben quattro seguiti in poco tempo (Cameron sta completando Avatar 3 e ha iniziato la lavorazione del quarto) dovessero far perdere fascino al brand, andando a ledere l’immagine di “film evento” costruita intorno al primo capitolo?
E se Cameron non riuscisse a costruire una storia che sia effettivamente in grado di reggere il brand sul lungo termine (quando già il primo film non brillava certo per l’originalità e complessità)?
Queste erano le domande alle quali chi vi scrive era maggiormente curioso di trovare una risposta in Avatar – la via dell’acqua, anche perché sul fatto che ci saremmo ritrovati di fronte ad una nuova eccellenza tecnica dubbi non ce n’erano mai stati, visto anche come si sono evoluti nel frattempo gli effetti speciali e la CGI.
E la risposta a queste domande è maledettamente simile al primo film: un capolavoro dal punto di vista tecnico, dove la passione e la creatività del regista trasudano da ogni singola inquadratura, ma con una trama troppo semplice e assolutamente non meritevole di tre ore di minutaggio. E il che, per un film che avrebbe dovuto fungere da rinnovatore per il brand, non è esattamente il massimo.
“Un effetto speciale è solo un mezzo per raccontare una storia”
Questa frase usata da George Lucas è stata la prima cosa a cui ha pensato chi vi scrive al termine della visione del film.
Questo perché Avatar – la via dell’acqua è quanto di più distante da questo concetto.
Se siete legati a questo tipo di idea, potreste provare un bizzarro mix di ironia e inquietudine nel constatare come l’intero intreccio (se così lo si può chiamare) di questo film sia totalmente ed esclusivamente asservito allo scopo di mostrare delle immagini realizzate in computer graphica.

E sia chiaro, ogni volta che in questi giorni starete leggendo sui social, sulle testate giornalistiche, o nelle recensioni di come questi effetti speciali siano tra i migliori mai realizzati, di come Cameron si sia superato, di come non siate voi a guardare il film ma il film a venire da voi, sappiate che vi stanno dicendo la verità: letteralmente qualunque elemento dell’aspetto grafico di questo film, dai colori agli effetti sonori, dal design degli animali a quello degli sfondi, passando per l’immancabile 3D, trasuda passione, amore e creatività, così come la volontà di sfruttare il mezzo cinematografico al massimo del suo potenziale e innovarlo quanto più possibile.
Ma parafrasando la citazione usata per aprire questo paragrafo, un effetto speciale, per quanto spettacolare esso sia, diventa qualcosa di noioso se non supportato da una trama, e un film con una trama riassumibile in due minuti non può durare tre ore e dieci.
Non può e basta.

A un certo punto diventa una questione etica, soprattutto alla luce di come questa trama, sebbene volta maggiormente all’espansione della cultura dei Na’vi e all’introduzione di nuove regioni e creature di Pandora piuttosto che alla prosecuzione vera e propria della storia, risulti ripetitiva: sì okay, abbiamo una nuova ambientazione, un nuovo clan di Na’vi, nuove creature, e gli umani sono alla ricerca di una nuova risorsa naturale, ma tutto questo non basta a nascondere come la trama sia letteralmente la stessa del primo film ma con più protagonisti.
Questo significa che Avatar – la via dell’acqua ha una brutta trama? Assolutamente no.
Per quanto semplice la trama di questo film è intrisa di quella spiritualità e solennità che caratterizza la saga fin dall’esordio, getta le basi per quello che può essere un eccellente racconto di formazione, e nel terzo atto raggiunge vette di emotività ben superiori a quelle del primo capitolo, ma la strada per arrivarci è veramente troppo ardua, specialmente per chi (come il sottoscritto) deve indossare gli occhialini 3D sopra quelli da vista per poi ritrovarsi dopo due ore con le orbite completamente distrutte e con la tentazione di scappare via dalla sala piangendo.
Perché mi hai rotto il Quaritch
La tematica principale di Avatar – la via dell’acqua è certamente quella degli outsider, la difficoltà nel comprendere chi si è davvero e nel trovare il proprio posto nel mondo. In un certo senso questa era anche la tematica principale del capitolo precedente, con il protagonista Jake Sully diviso letteralmente tra due mondi tra i quali si ritrova a dover scegliere, ma siccome a la via dell’acqua piace fare le cose in grande, qui i personaggi sono praticamente tutti outsider: da Spider, unico ragazzo umano cresciuto dai Na’vi, a Kiri, le cui misteriose origini sono legate all’avatar di Grace Augustine (ed è quindi interpretata proprio da Sigourney Weaver, qui ringiovanita tramite gli effetti speciali), passando per Payakan, membro rinnegato della razza dei tulkun (specie animale di Pandora simile ai cetacei introdotta in questo film), fino al colonnello Miles Quaritch, qui riportato in vita come Avatar, ritrovandosi a vivere lo stesso processo di integrazione che toccò prima al suo nemico Jake Sully e, paradossalmente, ad essere molto più umanizzato rispetto al primo capitolo.

Infatti, se in Avatar i buoni e i cattivi risultano piuttosto tagliati con l’accetta, ne la via dell’acqua si è cercato di rendere il tutto più ambiguo e, di conseguenza, maturo: quelli che definiremmo i cattivi rivelano qui il loro lato più vulnerabile, mentre alcuni protagonisti, in particolare Neytiri, si mostrano disposti a commettere atti non poi così tanto più nobili di quelli dei loro stessi nemici.
Ma se Jake e Neytiri sono qui relegati a un ruolo più secondario, il vero e proprio protagonista è (con sommo dispiacere di chi vi scrive) il loro secondogenito Lo’ak: il problema di questo protagonista non è come questo incarni lo stereotipo dell’adolescente ribelle che ragiona con i piedi (personalmente indigesto a chi vi scrive), bensì il fatto che il suo personaggio venga sviluppato tramite una serie di comportamenti talmente ripetitivi ed irritanti da risultare nauseanti.
Il fatto che Cameron sviluppi quello che dovrà essere il protagonista non solo di questo film, ma probabilmente dell’intera nuova fase del franchise, semplicemente ripetendo la dinamica del conflitto tra il figlio ribelle che in qualunque situazione si trovi sceglierà sempre di compiere l’azione più illogica possibile e il padre (forse un po’ troppo) severo, un numero di volte abbastanza alto da andare a riempire tre ore e dieci di pellicola senza mai far evolvere i protagonisti se non alla fine, rende veramente difficile appassionarsi ai nuovi personaggi.

Insomma, Avatar – la via dell’acqua è uno spettacolo per gli occhi senza precedenti, un vero e proprio capolavoro di tecnologia e sperimentazione visiva, e per questo vale la pena di essere visto al cinema, ma a livello contenutistico non aspettatevi niente di più di quello che avete visto in altre centinaia di film, non ultimo il primo capitolo: dal colonialismo al rispetto per la natura, dalla diversità all’immigrazione, dall’emarginazione al legame padre e figlio, questo film affronta una serie di tematiche già affrontate in tutte le salse senza aggiungere effettivamente nulla di nuovo, e ciò che preoccupa maggiormente non è solo il fatto che Cameron abbia tirato fuori una trama del genere dopo tredici anni, ma appunto il fatto che ci siano ben tre seguiti in lavorazione: basterà davvero la sperimentazione visiva e la creazione di scenari mozzafiato a sorreggere il brand se la narrazione continua ad essere così debole?
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di Ivan Guidi
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2022-12-22 08:00:31 ,