James Howells è un milionario ipotetico. Nel senso che in teoria ha circa ottomila bitcoin, ognuno dei quali vale al momento più di 44mila euro per un totale di circa 350 milioni di euro. Solo che il codice che serve per avere accesso ai suoi bitcoin è dentro un hard drive, un disco rigido di un computer, che sta da qualche parte in una discarica di Newport, in Galles.
Il codice nel disco rigido nella discarica occupa l’insignificante spazio di 32 kilobyte: è una sorta di password, più propriamente una “chiave personale” lunga 64 caratteri, sia cifre che lettere. Senza la chiave, Howells non può prendere possesso dei suoi bitcoin, e quindi non può pensare di incassare almeno in parte la sua fortuna. Come raccontato di recente dal New Yorker, è una storia iniziata anni fa, che passa da un limonata rovesciata su un computer e prosegue con un classico momento in cui una persona dice a un’altra: “Ma per caso hai buttato quella cosa?”.
Prima di perderli, i bitcoin Howells li creò con il processo noto come “mining”, o estrazione, attraverso cui il sistema Bitcoin chiede a un computer un contributo nel risolvere problemi crittografici indispensabili per il funzionamento della piattaforma e in cambio offre una ricompensa in bitcoin. Da diversi anni per farlo servono tantissimo tempo, computer potentissimi e moltissima energia. Anni fa, all’inizio dei bitcoin, era parecchio più semplice.
Howells iniziò a estrarre bitcoin nel 2009, poco dopo la loro ideazione da parte di Satoshi Nakamoto, uno pseudonimo usato dalla persona (o dal gruppo di persone) di cui non si sono mai scoperte molte informazioni certe. Howells, che ora ha 36 anni, da adolescente aveva passato molto tempo su internet, fino ad arrivare nei forum, allora molto di nicchia, in cui si discuteva di quel nuovo sistema chiamato Bitcoin. Il New Yorker descrive Howells come «un apostolo perfetto per quella tecno-utopia», spiegando che fu presto affascinato dal suo essere qualcosa di «incorporeo e senza confini». Il sistema Bitcoin gli ricordò Napster, usato per scaricare musica illegalmente, e seti@home, un sistema che tramite il contributo di più computer cercava forme di vita extraterrestri.
Incuriosito, Howells scaricò sul suo computer portatile Dell XPS N1710, allora usato perlopiù per i videogiochi, il software gratuito per estrarre bitcoin: il programma lo faceva da solo, di notte, e stando a quanto ha raccontato Howells la prima volta che provò oltre al suo c’erano soltanto altri quattro computer collegati. Ha raccontato che decise di provarci non per «fare soldi» bensì per «cambiare i soldi», «per divertimento ed esperimento».
L’estrazione notturna andò avanti saltuariamente per un paio di mesi. Era una procedura che surriscaldava il computer, provocando un rumore che infastidiva Hafina, la sua compagna. Howells finì così per interrompere l’attività: «non valeva la pena litigarci» ha ricordato. «Al tempo i bitcoin non avevano valore e non c’era motivo di pensare che ne avrebbero mai avuto».
Sospesa l’estrazione, nel computer restò comunque conservata la chiave alfanumerica di 64 caratteri indispensabile per accedere ai bitcoin estratti. Ora, grazie alle molte app di intermediazione nella compravendita di criptovalute, gestire le proprie criptovalute è più semplice e veloce. Allora poter consultare materialmente la chiave era imprescindibile. Per Howells era ed è l’unico strumento per aprire la cassaforte virtuale dentro alla quale, in poche settimane, si erano accumulate migliaia di bitcoin. Non esiste il corrispettivo virtuale di una fiamma ossidrica o di chissà quale altro strumento per accedervi.
Howells continuò a usare quel laptop per altre faccende fino a quando, alcuni mesi più tardi, rovesciò per sbaglio sulla tastiera parte della limonata che avrebbe voluto bere. Comprò quindi un iMac e ci trasferì parte dei file e delle informazioni che stavano su quello vecchio. Quelle sui bitcoin però no: ha raccontato che ci pensò, ma che al tempo non c’era una versione per dispositivi Apple del software che aveva usato e che dunque lasciò perdere. Si tenne comunque il disco rigido in un cassetto della scrivania.
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Passarono gli anni, Howells lavorò come ingegnere sistemista, i tre figli suoi e di Hafina crebbero. Nell’agosto 2013 – quando il valore di un bitcoin fluttuava intorno ai 100 euro – si mise a sistemare cose nella sua abitazione di Newport. Tra tante altre cianfrusaglie, si ritrovò tra le mani due dischi rigidi: uno sapeva essere vuoto, l’altro era quello del vecchio Dell, che mise in un sacco da buttare.
La sera, prima di dormire e dopo aver predisposto un sacco da portare in discarica, Howells chiese ad Hafina di andare lei, la mattina seguente, a buttarlo. Lei però rispose di no. Più tardi, poco prima di prendere sonno, Howells pensò che ci sarebbe andato di persona, e che per precauzione prima di farlo avrebbe tolto il disco rigido dal sacco: «Sono un ingegnere, non butterei mai un hard disk nella spazzatura. È proprio una pessima idea». La mattina però si svegliò e venne a sapere che alla fine Hafina era andata a buttare il sacco, ovviamente senza togliere il disco rigido. Scocciato e assonnato, Howells si rimise a dormire.
Capito l’errore, e mentre intanto il valore dei bitcoin aumentava, Howells pensò di andare subito alla discarica, ma non lo fece perché «allora non era facile spiegare cosa fossero i bitcoin». Verso la fine 2013, mentre il valore di un solo bitcoin si avvicinava ai mille euro, si rese conto che quel piccolo errore «si faceva sempre più grande» e per la prima volta ne parlò ad Hafina.
Sentendosi dire che forse c’era da qualche parte una manciata di milioni di dollari, lo incoraggiò ad andare in discarica e vedere cosa si poteva fare. Howells andò e vide, secondo il resoconto del New Yorker, qualcosa come «dieci o quindi campi da calcio di rifiuti». Venne tuttavia a sapere che le cose nelle discariche non sono buttate a caso, ma con un certo criterio e che sarebbe stato possibile restringere le ricerche a una sola area.
Prima di fare qualsiasi tentativo serviva però il permesso dell’amministrazione cittadina. La quale non rispose. Howells ne parlò ad alcuni giornali sperando di aumentare l’attenzione attorno al suo caso e in parte successe. Ma la città di Newport continuava a non mostrarsi interessata al suo caso.
Howells intanto si informò per capire se esistevano modi per arrivare ai suoi bitcoin senza chiave privata (no) e se era possibile che, anche ritrovando il suo disco rigido dopo mesi, ci fossero aspirazioni di accedere ancora alla chiave: certezze no, ma aspirazioni sì. Secondo Ontrack, una società statunitense specializzata in recupero dati, a cui è capitato di collaborare con la Nasa, ipotizzando che il disco rigido fosse ancora intero le possibilità di recupero dei dati al suo interno erano tra l’80 e il 90 %.
Passarono intanto altri anni: altri rifiuti si accumularono nella discarica e i bitcoin di Howells continuarono ad accumulare valore. Nell’estate del 2017 un bitcoin valeva duemila euro, alla fine di quell’anno il valore superò i diecimila euro. Poi scese, ma mai sotto i duemila euro. Sempre nel 2017, la città di Newport fece sapere a Howells che in base alle informazioni disponibili non c’era una via praticabile per recuperare il suo disco rigido.
Howells, i cui irraggiungibili ottomila bitcoin erano arrivati a valere più di 100 milioni di dollari, incontrò alcuni potenziali investitori disposti a finanziare la sua ricerca in cambio di rilevanti percentuali (si parla di due terzi del totale) su quanto eventualmente recuperato. Mentre il tempo continuava a passare, si convinse sempre più della fattibilità della cosa: «probabilmente muovono più materiali in una stagione di La febbre dell’oro di quanti dovrei muoverne io», ha detto al New Yorker facendo riferimento a un programma televisivo che segue le imprese di estrazione mineraria. Intanto, anche l’ex capo della discarica, una volta andato in pensione, iniziò a collaborare con lui.
A inizio del 2021, mentre il valore dei suoi bitcoin si avvicinava ai 300 milioni di euro, offrì alla città di Newport il 25 % di quanto trovato (non è chiaro se il 25 % del totale o solo della sua quota, tolta quella spettante ai finanziatori dell’eventuale ricerca). Newport rifiutò, e a maggio l’addetta comunale ai rifiuti gli disse in un incontro su Zoom che l’amministrazione cittadina continuava a non essere interessata.
È possibile che l’amministrazione non voglia e non possa, per ragioni tecniche e ambientali, andare a spostare tonnellate e tonnellate di rifiuti solo per rimediare alla sbadataggine di un suo cittadino. Howells invece ha accennato al fatto che forse qualcuno non vuole che si scopra che i rifiuti sono gestiti male, e che nella discarica possano esserci cose che non dovrebbero stare lì.
D. T. Max, autore dell’articolo del New Yorker, è andato in Galles a trovare Howells a ottobre, quando il valore dei suoi bitcoin aveva raggiunto un picco, arrivando vicino al mezzo miliardo di euro. Howells ha spiegato che l’area in cui pensa di poter trovare il suo disco rigido è un quadrato di 250 metri per lato, con una profondità di circa 15 metri, per un totale di 40mila tonnellate di rifiuti. Ha aggiunto: «non mi sembra sia impossibile, no?». Secondo i suoi calcoli, servirebbe il lavoro di 25 persone, per meno di un anno. Il tutto con i fondi forniti dai finanziatori, di cui non è nota l’identità.
Il piano prevede di spostare i rifiuti dell’area in questione e farli passare su un nastro trasportatore verso una «macchina a raggi X dotata di un apposito software» che dovrebbe servire a individuare tutto ciò che potrebbe essere un disco rigido. I rifiuti sarebbero poi riportati alla discarica o smaltiti in altro modo, a spese dei finanziatori del progetto.
Max ha scritto di aver visto prove del fatto che il computer di Howells estrasse circa ottomila bitcoin e ha aggiunto che, nonostante tutto, Howells continua a essere interessato alle criptovalute: ne ha comprate alcune per suo padre e qualche anno fa provò perfino a estrarne altre, con dieci computer dedicati solo a quello. Ma i tempi erano cambiati e per l’estrazione servivano spazi e investimenti ben maggiori. Si accorse che, come ha scritto il New Yorker, «il costo per la corrente superava i guadagni».
Howells ha raccontato che ormai diversi anni fa si separò da Hafina, che ora vive con i loro tre figli. Max gli ha chiesto se secondo lui la separazione ebbe a che fare con il disco rigido che materialmente fu lei a buttare. Ha risposto: «la verità è che in pubblico e nella mia vita normale cerco di non darle la colpa, ma nel mio subconscio l’ho fatto». Ha detto di credere che senza bitcoin sarebbe ancora con lei, e che se il disco rigido non fosse mai finito in discarica sarebbero ancora insieme «felici e contenti su uno yacht». Hafina, che ha confermato a Max i punti salienti del racconto di Howells, ha detto però che secondo lei la loro separazione non fu dovuta ai bitcoin.
Nonostante tutto, Howells si dice inoltre convinto che sia giusto che senza chiave personale non possa accedere ai suoi bitcoin. Perché crede nella struttura del sistema Bitcoin. «Se qualcuno venisse e mi dicesse che c’è un modo per riavere i miei bitcoin anche senza chiave, direi “no grazie”. Perché se possono farlo con i miei allora possono farlo con quelli di chiunque altro, e a quel punto anche il governo potrà farlo».
Secondo Chainalysis, un’azienda specializzata in raccolta dati sulle criptovalute, dal 2008 al 2020 circa mezzo milione di bitcoin, circa un quinto del totale, sono andati perduti, o quantomeno risultano fermi da anni. Tra questi ci sono anche quelli di Nakamoto, che sparì nel 2011 e i cui bitcoin, che valgono miliardi, sono ancora lì.
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2021-12-10 14:12:21 ,