La batteria di Polar Night Energy funziona anche di notte perché la sabbia rimane calda (va da un minimo di 100°C a un massimo di 600°C, grossomodo) e riesce a mantenere il calore per mesi. La startup danese Hyme ha sviluppato invece una soluzione di stoccaggio dell’elettricità rinnovabile in calore a base di sali fusi, riscaldati a 700°C e conservati per giorni. All’occorrenza, il calore viene trasferito dai sali all’acqua e diventa vapore, destinabile alle fabbriche o alla generazione elettrica. La materia prima della batteria di Hyme è sostenibile e abbondante, visto che i sali fusi si ricavano dall’acqua salata.
I progetti italiani
In Italia, vicino Arezzo, Enel ha un progetto di accumulo termico nelle rocce frammentate. Il sistema, chiamato Tes, è abbinato alla centrale a gas di Santa Barbara ma è proiettato all’immagazzinamento dell’energia rinnovabile. Funziona secondo un ciclo di carica e scarica: nella prima fase, il vapore generato dalla centrale passa attraverso dei tubi per riscaldare le rocce; nella seconda fase, il calore accumulato viene rilasciato.
Questo calore può essere ceduto direttamente alle industrie, in modo da decarbonizzare (quando la fonte energetica d’origine sarà a emissioni zero) i processi non alimentabili con l’elettricità. Oppure può essere utilizzato per riscaldare l’acqua e generare vapore, che servirà a produrre elettricità. Tes può stoccare fino a 24 megawattora di calore, a 550°C, per cinque ore. Il vantaggio della tecnologia, oltre alla doppia possibilità di output, è che non necessita di materiali rari.
Sempre in Italia, l’azienda milanese Energy Dome possiede a Ottana, in Sardegna, un sistema di batterie di CO2 che richiedono soltanto acciaio, acqua e anidride carbonica. L’impianto si presenta alla vista come una grande cupola sigillata (dome, appunto) contenente CO2. Il gas viene compresso e condensato in liquido, che funge da “contenitore” di energia vista la sua elevata densità energetica; anche il calore generato durante la compressione viene catturato e conservato per l’utilizzo in un secondo momento. Quando c’è bisogno di energia, infatti, il calore fa evaporare la CO2 liquida, che si espande e attiva una turbina che genera elettricità. Il tutto senza alcuna emissione in atmosfera perché il processo è a circuito chiuso: l’anidride carbonica allo stato gassoso viene cioè riportata nella cupola, per un nuovo ciclo di scarica.
Le batterie termiche naturali sono promettenti ma devono, per affermarsi, dimostrare di essere affidabili e replicabili commercialmente su larga scala. Per le loro caratteristiche, comunque, sembrano essere in grado di contribuire alla sicurezza della transizione energetica, garantendo la necessaria diversificazione tecnologica dai sistemi di accumulo elettrochimico (le batterie comunemente intese, agli ioni di litio) e una parziale emancipazione dalla geopolitica (non contengono materia rara controllata da pochi governi, ma sabbia e sale).
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di Marco Dell’Aguzzo www.wired.it 2023-11-07 06:00:00 ,