I canali privati permettono a ogni leader tecnologico di insistere per ottenere specifiche esenzioni sui dazi, come quelle annunciate negli scorsi giorni su smartphone, computer e altri prodotti tech. Quelle che andrebbero a vantaggio di Nvidia – per esempio misure più permissive sulle importazioni di semiconduttori per le gpu – sono diverse da quelle che che servirebbero ad Apple, considerando la complessità della catena di approvvigionamento dell’azienda e la sua dipendenza dalla Cina. “Un’opposizione generalizzata ai dazi non è utile se i leader delle aziende possono ottenere esenzioni per i propri prodotti“, sottolinea Christoff.
Allo stesso tempo, i leader tech americani stanno lasciando che le organizzazioni commerciali – come la Business roundtable, che rappresenta una serie di grandi aziende del settore tra cui Alphabet e Amazon – facciano parte del lavoro di lobbying per conto loro, secondo quanto riferito da alcune fonti a Wired US. L’amministratore delegato della Business roundtable Joshua Bolten ha diffuso una dichiarazione in cui esorta l’azienda statunitense a “raggiungere rapidamente accordi” con i partner commerciali e a mettere in campo “esenzioni ragionevoli“. Gli ad tecnologici sono rimasti in disparte anche quando banchieri come Jamie Dimon, amministratore delegato di JP Morgan Chase, hanno sottolineato pubblicamente l’impatto negativo e duraturo dei dazi sull’economia, o mentre il miliardario Bill Ackman continuava a twittare sul tema.
Musk e le altre voci fuori dal coro
Non sono mancate però le eccezioni. L’amministratore delegato di Amazon Andy Jassy ha dichiarato che i venditori di Amazon potrebbero scaricare sui consumatori il costo dei dazi. La settimana scorsa numero uno di Microsoft Satya Nadella invece è stato intervistato accanto a Bill Gates e all’ex ad del colosso Steve Ballmer. Se Ballmer ha osservato di aver “studiato economia quanto basta per sapere che i dazi porteranno un po’ di scompiglio” e che le conseguenze per le persone saranno “molto dure”, Nadella è stato più circospetto e ha colto l’occasione per parlare di l’intelligenza artificiale.
Anche Musk si è distinto dalla gran parte di imprenditori presenti all’insediamento di Trump. Oltre ad aver rivolto appelli diretti al presidente per far cadere i dazi, ha anche dato pubblicamente dell'”idiota” al principale consigliere commerciale di Trump, Peter Navarro, aggiungendo che è “più stupido di un sacco di mattoni” (per poi rincarare la dose e dire che il paragone “era ingiusto nei confronti dei mattoni”). Questo una volta che Navarro aveva definito il miliardario un “assemblatore di auto” la cui attività si basa pesantemente su componenti a basso costo provenienti dall’estero. Musk ha risposto dicendo che Tesla vende “il maggior numero di auto prodotte in America“.
A differenza degli altri ceo, perlomeno Musk ha dimostrato di essere disposto a esporsi. Ma le sue osservazioni sui dazi sono anche smaccatamente egoistiche: è difficile immaginare che sia interessato alla salute del fondo pensionistico del cittadino medio americano, considerando la crudeltà con la quale sta spingendo per licenziare i dipendenti federali e smantellare agenzie governative con il Doge.
Anche se non molto tempo fa i leader delle big tech forse avrebbero preso posizione su importanti questioni sociali e politiche che riguardavano i loro dipendenti e i cittadini in generale, i loro interventi erano per lo più performativi. Dietro le quinte hanno sempre tirato le fila di una macchina brutale e capitalistica. E ora per loro la cosa più conveniente è tacere in pubblico fare lobbying in privato, soprattutto quando si trovano di fronte a un presidente totalmente imprevedibile.
Questo articolo è apparso originariamente su Wired US.
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di Lauren Goode www.wired.it 2025-04-14 15:59:00 ,