Anche le canzoni nuove, qualora ci fosse qualche dubbio, superano la prova del live, e anche quella del confronto con i classici. “Qualcosa cambia in una canzone quando la canti davanti a un pubblico” spiega Springsteen. “Non puoi capire le possibilità di una canzone fino a che non la provi davanti a un’audience. Le canzoni di A Letter to you non erano state provate dal vivo ma erano essenziali per la storia che volevo raccontare”. Quelle quattro canzoni erano fondamentali per il racconto e hanno occupato lo steso posto nello show ogni sera. Raccontavano il passare del tempo e la morte.
Nightshift, dedicata ai nostri ragazzi
Il tempo scorre avanti e indietro in questo film. I membri storici della band ricordano i primi tour, con un furgone Ford circolo Wagon e poi un camper, un GMC Motor Home. Dormire in due su un tavolo che diventa letto e svegliarsi con Clarence Clemons che cucina la colazione. Ora che Big Man non c’è più, a suonare le sue parti sul palco c’è Jake Clemons, il nipote che suona il suo sassofono per sentirlo vicino. Gli assoli di sassofono riportano Clarence Clemons ogni volta sul palco: Badlands, Jungleland, Prove It All Night. Ma la magia accade con Nightshift, una canzone dei Commodores degli anni Ottanta. “Nightshift può essere alleanza in tanti modi” riflette Jon Landau, il manager di Springsteen. “Io la intendo come se stesse parlando dei nostri ragazzi”. I Commodores la scrissero per Marvin Gaye e Jackie Wilson, scomparsi prematuramente. Il Boss sembra cantarla ogni sera indicando il cielo, pensando ai suoi amici che non possono essere più sul palco. È un momento speciale: i coristi vengono tutti avanti. Bruce duetta con il cantante Curtis King, prendendo le note più alte possibili. Nightshift, che sembrava solo una delle canzoni di un album di cover, è diventata uno showstopper (quel passaggio che ferma lo show e strappa gli applausi). Ed è anche un momento chiave di questo film.
Dirigere l’orchestra e anche il pubblico
Bruce Springsteen è l’assoluto padrone dello show è il direttore di questa sua nuova orchestra. È capace di dirigerla con un semplice movimento del corpo. Basta una spalla, una mano, un movimento del corpo. È il segnale che sta per succedere qualcosa: che la musica si fermi, che vada avanti, che un musicista lo segua in qualcosa. Chi suona con lui lo sa, e cerca di tradurre in musica i suoi segnali. Ma il Boss riesce a dirigere anche la folla, il suo pubblico, a creare il silenzio con un gesto o una parola. La band sa improvvisare, si passa dal gospel al rock’n’roll, al jazz, al blues. A volte sembra una di quelle jazz band che suonano nei piccoli locali.
La scaletta è fissa
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di Maurizio Ermisino www.wired.it 2024-10-24 04:40:00 ,