A partire dallo scorso fine settimana la tempesta tropicale nota come Hilary ha scaricato un quantità d’acqua inimmaginabile su Messico, California meridionale, Arizona e Nevada, battendo “praticamente tutti i record giornalieri di precipitazioni“, secondo il National weather service, il servizio meteorologico nazionale degli Stati Uniti. In corrispondenza del monte San Jacinto, vicino a Palm Springs in California, sono caduti quasi trenta centimetri di nubifragio in due giorni, mentre sul monte Wilson, nella contea di Los Angeles, ne sono stati registrati circa 21 centimetri. Anche a quote più basse la nubifragio è stata incessante, come dimostrano per esempio i 12 centimetri a Beverly Hills.
Il diluvio innescato da Hilary ha causato allagamenti diffusi e colate di detriti, con fiumi di fango, massi e alberi che hanno distrutto case e aziende, e travolto gli automobilisti. Nella mattinata di lunedì 21 agosto, non c’era modo di entrare o uscire da Palm Springs, una situazione che il sindaco Grace Garner ha definito “davvero estrema“.
Le autorità hanno appena iniziato a calcolare i danni. Anche se ci vorrà del tempo prima che gli scienziati riescano a capire quanto il cambiamento climatico abbia contribuito alla distruzione seminata da Hilary, è probabile che tempeste come questa diventino sempre più feroci per via del riscaldamento globale.
Come si è sviluppata
Ma cosa ha reso Hilary – che ha iniziato la sua corsa come uragano nel Pacifico orientale – così violenta? Per dirla semplicemente, l’acqua calda dell’oceano alimenta gli uragani ai tropici; Quando l’aria calda e umida sulla superficie del mare si alza, quella circostante riempie il vuoto, dando vita a venti. “I venti sulla superficie dell’oceano raccolgono energia sotto forma di umidità e calore – spiega lo scienziato del clima Karthik Balaguru, che studia gli uragani al Pacific Northwest National Laboratory –. Se porta con sé più umidità, una volta che si alza quest’aria che si muove a spirale verso il centro della tempesta è in grado di sprigionare più energia termica latente. Questo processo rinvigorisce la tempesta“.
Le temperature della superficie del mare sono particolarmente calde in questo momento nel Pacifico orientale, a causa del continuo sviluppo di El Niño. “Le tempeste che si formano nel Pacifico orientale negli anni in cui c’è El Niño sfruttano il calore supplementare dell’oceano e tendono a diventare più intense – spiega Balaguru –. Ecco perché quasi tutti gli studi hanno dimostrato che durante gli anni di El Niño, il Pacifico orientale tende ad essere molto attivo in termini di uragani“.
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di Matt Simon www.wired.it 2023-08-23 04:30:00 ,