Ursula Von der Leyen, presidente della Commissione europea; Roberta Metsola, presidente del Parlamento europeo; Christine Lagarde, presidente della Bce. Alla guida dell’Europa, in uno dei momenti più bui della sua storia dopo l’attacco della Russia all’Ucraina, c’è una netta maggioranza femminile. Delle quattro figure apicali della Ue, infatti, contando Charles Michel presidente del Consiglio europeo, tre sono donne. In alcuni Paesi europei, inoltre, soprattutto nei Paesi scandinavi, la leadership del governo è da anni appannaggio anche delle donne. Si pensi alla Germania di Angela Merkel, cancelleria per oltre 15 anni, o alla finlandese Sanna Marin, la più giovane capo di governo al mondo. Si tratta di una rivoluzione rosa importante proprio per lo stile nuovo, per la capacità di immedesimazione e la ricerca di coesione, caratteristiche che porta con sé la leadership femminile e che possono fare la differenza in un momento storico così delicato.
Lo spiega bene Claudia Parzani, unica italiana nella classifica Women role model 2021, presidente di Allianz in Italia nonché partner e global business development&marketing head di Linklaters: «Credo che le donne non solo debbano dire la loro, ma debbano essere parte attiva. Ci servono donne che abbiano una voce molto ferma, che alzino la mano e si facciano avanti per prendere sempre più spazio. Servono leader veramente diversi, con capacità di ascolto e sintesi notevole; d’altra parte servono persone che abbiano compassione, che riescano a guardare oltre gli stereotipi. Dopo aver fatto sintesi, dopo aver avuto cuore, bisogna prendere una decisione, e devono essere decisioni molto ferme perché le persone hanno paura, sono scosse. Serve una mano sicura che le guidi. Non è più il tempo di dividere».
A fronte di una leadership della Ue sempre più rosa, in Italia il famoso soffitto di cristallo, soprattutto nella politica, non è stato ancora infranto. Non abbiamo, infatti, ancora mai avuto una donna capo di Stato o di governo. Nel 2016 a Montecitorio è stata dedicata una galleria, vicino alla sala della Regina, alle prime donne entrate a far parte delle istituzioni. Accanto ai ritratti di Tina Anselmi, prima donna a diventare ministra, e Nilde Iotti, prima presidente della Camera, ci sono importanti caselle vuote da riempire: la prima presidente del Consiglio dei ministri e la prima presidente della Repubblica, anche se mai come nell’ultimo toto-Quirinale si è arrivati vicino alla scelta di una donna. «Non mi sfugge l’elemento simbolico e concreto allo stesso tempo incarnato da donne che riescono ad imporsi con la propria forza. È importante, lo so sulla mia pelle. Ma sappiamo che in sé non è sufficiente. Cosa abbiamo ottenuto fin qui? Che poco più di un terzo dei parlamentari sia di genere femminile, in maniera abbastanza omogenea tra i vari schieramenti, grazie ad interventi sulla legge elettorale da noi richiesti. Basta? Assolutamente no» sottolinea Pina Picierno, vicepresidente del Parlamento europeo, che prosegue: «Ma così come la riduzione del divario di genere non è solo a favore delle donne ma serve a cambiare in meglio tutta la nostra società, così una maggiore presenza delle donne dovrà servire a cambiare tutta la politica. A cominciare, per esempio, dalle realtà locali e dalle amministrazioni comunali, dove le donne nelle istituzioni, specie al Sud, sono davvero poche e dove più prossimo è il bisogno di rappresentanza. Su questo, sulla diffusione larga delle donne nelle istituzioni e sulla riduzione della conflittualità in politica si sta misurando, giorno dopo giorno, l’impegno di tutte noi».
Dalla politica al management
Va un po’ meglio nei cda delle aziende, grazie agli effetti della legge Golfo-Mosca che ha inciso positivamente sull’empowerment femminile, tanto che secondo i dati Consob le donne nei board delle società quotate sono il 40,8%. Il piatto della bilancia si abbassa di nuovo a sfavore delle donne se guardiamo, però, ai ruoli esecutivi: a Piazza Affari le amministratrici delegate sono solo 16, pari al 3,9%, mentre le presidenti sono 31, pari al 7,5%. Quote che tendono ad assottigliarsi se non a scomparire se si pensa alle realtà più importanti. Inoltre, in tutti settori e ruoli, le donne vengono promosse a un ritmo più lento rispetto agli uomini. Secondo il rapporto McKinsey’s Women in the Workplace del 2021, solo 86 donne vengono promosse a manager ogni 100 uomini allo stesso livello. Il divario di genere si allarga per i ruoli tecnologici, con solo 52 donne promosse a manager ogni 100 uomini. La ricerca dimostra, infine, che la diversity conviene: le società che la tutelano hanno il 48% di probabilità in più di ottonere una performance migliore delle aziende con una gender diversity minore.
Altro discorso, poi, sono le cariche elettive ai versiti di associazioni o ordini professionali. Poche le donne che hanno finora ricoperto questi incarichi, dalle federazioni sportive (si veda articolo accanto) ai consigli nazionali di professionisti. Recente la nomina di Maria Masi alla presidentza del Consiglio nazionale forense, la prima donna nella storia dell’ordine. «Le donne sono sottorappresentate non solo quando la funzione apicale è frutto di elezioni ma anche nei casi in cui bisogna essere scelte, assunte, promosse in ambito lavorativo. Nel primo caso i correttivi funzionali al perseguimento dell’equilibrio, piacciano o no, continuano a essere le famose quote, almeno per avere la possibilità di esserci e dimostrare di valere. Quanto alla difficoltà di essere scelte, purtroppo ancora non può dirsi conclusa la costruzione di quella sana consapevolezza che attribuisca finalmente alla parità di genere il giusto valore, ovvero quello di consentire all’intera società di poter godere degli effetti delle opportunità riconosciute e non meramente concesse alle donne».