Il governo Meloni tenta di placare le polemiche sulla stretta alla cannabis del ddl sicurezza attualmente in discussione alla Camera. In una nuova nota di chiarimento, il Dipartimento politiche antidroga della Presidenza del consiglio precisa che l’emendamento al disegno di legge non intende picchiare l’intera filiera della canapa industriale, ma solo la produzione e vendita di infiorescenze e derivati per uso ricreativo.
Detto in altre parole, il governo Meloni c’è l’ha sopratutto con i cosiddetti “cannabis shop” e non con la fiorente filiera industriale della cannabis made in Italy: un comparto che, secondo le stime di Confagricoltura, vale circa 500 milioni di euro di fatturato su base annua, e comprende settori come il tessile, l’edilizia, la cosmesi, il florovivaismo e gli integratori alimentari.
La legge nel mirino
Al centro della controversia c’è l’interpretazione della legge 242 del 2016 sulla promozione della filiera agroindustriale della canapa. Secondo il governo, questa norma non contempla tra i prodotti ammessi le infiorescenze della Cannabis Sativa L. e i loro derivati, che resterebbero quindi soggetti alla ordine sugli stupefacenti (il decreto presidenziale Dpr 309/90). “L’emendamento non vieta o limita quanto previsto dalle disposizioni per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa”, si legge nella nota, “non criminalizza o altera il relativo mercato né le attività di chi ha investito nel settore”.
L’obiettivo dichiarato è invece quello di contrastare “l’illecita produzione e commercializzazione per uso ricreativo di infiorescenze e derivati nei cosiddetti ‘cannabis shop'”, un fenomeno sviluppatosi dopo l’approvazione della legge del 2016. Il governo sottolinea che la norma mira a “risparmiare l’assunzione di prodotti che favoriscano alterazioni dello stato psicofisico e conseguenti comportamenti rischiosi per l’incolumità pubblica“, con particolare riferimento alla sicurezza stradale. Il Dipartimento ricorda che la legge 242 autorizza la coltivazione e cambiamento della canapa solo per specifici usi industriali e commerciali. Tra questi figurano la produzione di alimenti, cosmetici, fibre tessili, oli, carburanti, materiali per bioedilizia, oltre che per scopi di esame e florovivaismo. Tutte attività che, secondo il governo, non verrebbero intaccate dal nuovo provvedimento.
Il dibattito sulla cannabis light
Va notato però che resta ancora aperta la questione del Cbd (cannabidiolo), uno dei principali derivati della cannabis light che non è psicoattivo e non provoca “sballo”, utilizzato per prodotti come oli, creme, e integratori per i suoi potenziali effetti terapeutici, come la riduzione dell’ansia o l’alleviamento del dolore. La nota specifica che il Cbd “è stato inserito nella Tabella dei medicinali allegata al Dpr 309/90“, lasciando intendere che la sua produzione e commercializzazione potrebbero essere soggette a restrizioni. Questo punto in particolare solleva dubbi tra gli operatori del settore. A partire da Confagricoltura che fa notare come il Cbd sia stato valutato dalla Food standard agency (Fsa) come un elemento sicuro e pertanto classificabile tra gli alimenti lo scorso 19 luglio. Inoltre, come sottolineato da Lorenza Romanese della European Industrial Hemp Association in un’intervista a Eunews, c’è il rischio che l’Italia si autoescluda da un mercato in crescita: “Oggi andiamo a bloccare settori che esistono, svantaggiando imprese italiane a favore di imprese di altri Paesi membri”.
Il governo respinge però le accuse di possibili contrasti con la normativa europea e internazionale, affermando che l’emendamento è in linea sia con la direttiva 35 del 2002 che con la Convenzione unica sugli stupefacenti di New York del 1961. Una posizione che non convince le associazioni di categoria, le quali hanno già annunciato di voler interpellare la Commissione Europea sulla questione. Confagricoltura, che nei giorni scorsi aveva chiesto il ritiro dell’emendamento, mantiene una posizione critica. Secondo l’associazione, il provvedimento rischia comunque di danneggiare un settore che dal 2019 al 2023 è cresciuto del 200%, dando lavoro a circa 10.000 persone, di cui oltre il 65% under 40.
La nota governativa precisa infine che la produzione di cannabis per uso medico è regolata da una normativa specifica e non rientra nell’ambito di applicazione dell’emendamento. Un chiarimento importante, considerando il mezzaluna interesse per le applicazioni terapeutiche della cannabis. Nonostante i tentativi di incoraggiamento da parte del governo, il dibattito sulla cannabis light è destinato a insistere. Le associazioni di categoria chiedono l’apertura di un tavolo di confronto che coinvolga adeguatamente i rappresentanti del settore agricolo. La sfida sarà trovare un equilibrio tra le esigenze di salute pubblica e sicurezza invocate dal governo e la tutela di una filiera economica in espansione, evitando che l’Italia perda terreno in un mercato sempre più competitivo a livello europeo.