Trump “ha violato il suo giuramento” da Presidente, di proteggere le istituzioni e la democrazia, dimostrando totale disprezzo per i suoi obblighi. Lo ha fatto in 187 drammatici minuti nei quali ha dato il “semaforo verde” all’assalto a Capitol Hill e, con parole e azioni, ha gettato benzina sul fuoco dell’aggressione. E nei quali è stato l’unico alla dimora Bianca a a non volere interventi per fermare la folla violenta. Anche dopo che questa aveva occupato il Congresso e minacciava di uccidere parlamentari e lo stesso vice-presidente Mike Pence, colpevole, alla guida della sessione del Senato convocata per certificare le elezioni del 2020 vinte da Joe Biden, di non voler ribaltare quel risultato. Una minaccia presa oltretutto molto, molto seriamente dalle forze di sicurezza in prima linea: gli agenti dei servizi segreti a protezione di Pence chiamarono i familiari per dare loro l’addio, nel timore di non sopravvivere alla drammatica giornata.
Testimonianze shock
E’ questo il riassunto-shock della documentazione e delle testimonianze dirette, dall’interno della dimora Bianca, ascoltate nell’ottava e decisiva audizione sugli eventi del 6 gennaio 2021. Quando cioè sostenitori armati di Trump, aizzati dall’ormai ex Presidente allo scopo di rimanere a ogni costo al potere, hanno marciato sul Parlamento.“Non avrebbe dovuto farlo” ha testimoniato Sarah Matthews, vice addetta stampa alla dimora Bianca dimessasi in quelle ore parlando dell’incitamento alla violenza. “Avrebbe dovuto dire a quella gente di andare a dimora e condannare la violenza”, ha continuato Matthews. Sia Matthews che il vice-consigliere per la sicurezza nazionale Matt Pottinger hanno spiegato in aula di aver rassegnato le dimissioni in particolare dopo un durissimo tweet di Trump che denunciava lo stesso Pence di fatto come un traditore, mentre era in corso l’assalto al Congresso e gli insorti inneggiavano apertamente ad una sua impiccagione.
Trump, “incontrollabile e distruttivo”
“Per 187 minuti il 6 gennaio quest’uomo con una incontrollata e distruttive energia non è stato smosso – ha poi concluso Bennie Thompson, il chairman della speciale commissione d’indagine della Camera sugli eventi che hanno minacciato di deragliare la democrazia americana – Né dai suoi consiglieri, né dai suoi alleati, né dagli slogan violenti gridati dai rivoltosi o dai disperati appelli di coloro che stavano affrontando la folla violenta. Nessuno ha potuto convincerlo”.Thompson ha anche asserito che se quella di ieri in prima serata televisiva era stata programmata come l’audizione finale sul 6 gennaio, la Commissione ha in realtà ancora numerose piste sule quali fare luce e convocherà ulteriori appuntamenti pubblici a settembre prima di redigere il suo rapporto.
Alla guida degli insorti?
L’audizione è stata tuttavia ugualmente il coronamento ad alta tensione delle indagini parlamentari sull’insurrezione. Altri due testimoni hanno corroborato l’intenzione, già emersa da altre testimonianze, di Trump di recarsi a Capitol Hill, per unirsi e forse capitanare i manifestanti violenti. E di aver fortemente premuto sulla sua scorta, senza successo, per farsi portare. “Sarebbe diventata una vera insurrezione, un golpe” se questo fosse avvenuto, ha affermato un funzionario dell’apparato di sicurezza nazionale. Un agente di polizia che faceva parte della scorta presidenziale ha aggiunto di esser stato a sua volta informato di un “acceso alterco” con il Presidente sulla destinazione. Videoregistrazioni del consigliere legale della dimora Bianca Pat Cipollone hanno inoltre denunciato come del tutto infondate, a detta degli stessi collaboratori più stretti di Trump, le teorie su presunte irregolarità alle urne che l’ex Presidente continuò a diffondere per cercare di rimanere al potere.
Silenzi e torturati messaggi
Altri dettagli ed elementi del ruolo svolto da Trump negli eventi del 6 gennaio – e sul suo rifiuto a intervenire tempestivamente, anzi sul sostegno mostrato per gli insorti – sono affiorati durante le intense audizioni durate circa due ore. A cominciare da torturati discorsi. Avrebbe dovuto, ad esempio, parlare il 7 gennaio con un messaggio registrato alla nazione, stando alle raccomandazioni del suo staff, per esecrare la violenza e l’assalto al Congresso, denunciare gli insorti che avevano cercato di sovvertire il risultato elettorale con la forza. Per accettare, all’indomani del dramma a Capitol Hill, l’esito delle urne e il successo del rivale Joe Biden. Ma Trump cercò in ogni modo di evitarlo, di resistere anche ai più stretti collaboratori. Rifiutò di dichiarare concluse le elezioni e di riconoscere la sconfitta.Dagli stralci di prove di registrazione, durate oltre un’ora, affiora come fosse tentato di continuare a chiamare gli insorti “patrioti”, di evitare di dichiarare conclusa la battaglia elettorale. Alla fine ne uscì così una scarna dichiarazione di tre minuti di condanna delle violenza, suonata vuota perchè giunta solo dopo che ormai l’assalto era fallito e mentre tra i suoi ministri rimasti veniva discusso, in caso contrario, il ricorso al 25esimo Emendamento della Costituzione per rimuoverlo a forza dalla dimora Bianca.