di Luigi Mastrodonato
A marzo l’Osservatorio Placido Rizzotto del sindacato Flai-Cgil ha pubblicato Geografia del caporalato, il primo dei quaderni che andranno a comporre il nuovo Rapporto dedicato alle agromafie e allo sfruttamento. Sono 405 i distretti del paese in cui viene commesso questo reato e circa un terzo si trovano nel Nord, che è così l’area italiana con più caporalato. Se nell’ultimo decennio il Mezzogiorno e il Centro Italia hanno fatto registrare un calo drastico degli illeciti, rispettivamente del 42% e del 23%, nel Settentrione il dato è in crescita del 26%, lasciando intendere come oggi sia proprio qui il focolaio del problema.
A livello regionale è ancora la Sicilia a far registrare il maggior numero di illeciti, ma al secondo posto si piazza il Veneto e poco sotto fanno capolino regioni come la Lombardia e il Piemonte.
“Il caporalato non conosce confini”
“La sentenza del tribunale di Cuneo ci ricorda che lo sfruttamento non conosce confini geografici, non presenta dimensioni legate alla collocazione territoriale. Si sfrutta e basta e questo fa cadere quella visione che riassume nelle parole ‘Sud’ e ‘Mezzogiorno’ ogni male di questo mondo, ogni deposito di devianza e sfruttamento, di condizioni disumane – sottolinea Aboubakar Soumahoro -. Tutto questo in realtà lo troviamo ovunque attraverso caratteristiche che cambiano in funzione del contesto. L’impegno per contrastare queste forme di sfruttamento deve avvenire a ogni livello e altitudine”.
Per Soumahoro i problemi del caporalato nel nord Italia non sono una novità, sono sempre esistiti. Oggi, semmai, stanno venendo allo scoperto sotto nuove forme, dice: “Prima c’erano lavoratrici e lavoratori sfruttati bianchi e italianissimi, oggi c’è una maggiore complessità nei campi dal punto di vista della provenienza geografica e questo non deve portare a una razzializzazione con salari diversificati in funzione del colore della pelle”. Elementi emersi proprio nelle campagne delle province di Cuneo, dove i braccianti non bianchi hanno denunciato paghe inferiori ai tre euro all’ora e salari definiti quindi in base al paese di provenienza.
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Di fronte a tutto questo, ci si interroga sugli strumenti a disposizione per il contrasto al caporalato. “La politica ha demandato tutto all’attività della magistratura, che va benissimo ma bisogna anche essere consapevoli che è uno strumento lento, basti pensare che l’indagine di Cuneo era cominciata quattro anni fa – continua Soumahoro -. Lo strumento della magistratura è fondamentale ma in parallelo ci deve essere il quotidiano, da svolgere all’interno di un’attività sindacale che deve avvenire sul campo e non solo nei convegni. C’è poi da rianimare le strutture dei centri per l’impiego, qualificando chi porta avanti il lavoro dal punto di vista dell’ispezione. Infine c’è da immaginare nuovi dispositivi come la ‘patente del cibo’, per fare realmente in modo che i lavoratori non subiscano la dittatura dei giganti del cibo e che l’agricoltura torni al servizio dei bisogni della persona umana”.
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www.wired.it
2022-04-16 05:00:00