C’è il primo piano: il caso Durigon e le sue probabili dimissioni da sottosegretario al Mef per l’infelice frase di titolare il parco di Latina ad Arnaldo Mussolini (fratello del Duce) al posto di Falcone e Borsellino. E ce n’è un secondo, meno appariscente ma non meno importante, che questa vicenda torna a mettere in luce e cioè la presenza di due “leghe”: quella del Carroccio (e del veneto Zaia) e quella costruita da Matteo Salvini.
Due “leghe” che si sono sempre poco amate
Due leghe che si sono sempre poco amate ma costrette a convivere nel nome del segretario, che ha portato il fu partito della Secessione e della Padania dal 4 al 34%, stando alle ultime elezioni su scala nazionale – le europee del 2019 – anche se oggi i sondaggi lo accreditano poco sopra il 20%. L’insofferenza però c’è ed è destinata a crescere, visto che i posti disponibili alla Camera e al Senato in prospettiva sono destinati a ridursi significativamente dopo la riforma del taglio dei parlamentari. Anche perché, come accade un po’ ovunque, non sono pochi coloro che hanno scalato velocemente posizioni per volontà del Capo a scapito di chi per anni si è dato da fare per il partito.
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La repentina ascesa di Durigon
Tra i primi c’è anche Claudio Durigon, uomo centrale per il segretario in tutti i sensi.Alla Lega ci arriva tardi, nel 2017, quando è vicesegretario del sindacato Ugl.Sono proprio i contatti costruiti anche grazie all’attività sindacale, che lo rendono prezioso per un partito che aveva coniato lo slogan “Roma ladrona”. Tanto prezioso che nel giro di un anno Durigon viene candidato alle politiche del 2018 e fatto entrare nel Governo giallo-verde (Conte I) come sottosegretario al Lavoro e poi ora, nell’esecutivo guidato da Mario Draghi, al Ministero dell’Economia. Del resto Durigon i meriti li aveva acquisti sul campo, portando gli ex padani da percentuali irrisorie ad essere il primo partito del centrodestra anche nel Lazio.Una scalata repentina la sua, di quelle che sembravano destinate a non fermarsi. Tant’è che fino a qualche mese fa si dava per certa la sua candidatura a presidente della Regione Lazio, nel 2023, in concomitanza – come è stato nel 2018 – con le politiche. Così almeno avrebbe voluto Salvini. Anche e soprattutto per frenare l’ascesa di Giorgia Meloni.
Un conto troppo salato per Salvini
Ma il Capitano aveva fatto i conti “senza l’oste”, come si dice a Roma. E l’oste nel caso specifico è però proprio Durigon già uscito acciaccato dalla dichiarazione – rivelatasi poi più una millanteria – in cui sosteneva che “il generale della Finanza che indaga sui 49 milioni ce lo abbiamo messo noi…” e cioè la Lega e che ora, con la sua uscita sul parco al fratello del Duce, sembra aver presentato un conto troppo elevato da saldare. Perfino per Salvini.