Posti barca a disposizione degli uomini del clan e una quota mensile sui guadagni durante il periodo primaverile ed estivo. Il porto di Castellammare rappresenta una sorta di bancomat per il clan D’Alessandro, ma non solo. I concessionari che pagano il pizzo, spesso sono costretti a soddisfare le pretese economiche di più gruppi criminali. O perlomeno è stato così fino a qualche anno fa. A svelarlo sono le indagini condotte dall’Antimafia e le rivelazioni dei collaboratori di giustizia, in particolare Pasquale Rapicano, che ha raccontato i nomi degli imprenditori che pagano e a chi sono indirizzati i soldi.Gli investigatori hanno cominciato a concentrare la loro attenzione sul porto già nel 2013, quando un imprenditore stanco delle continue richieste estorsive decide di rivolgersi alle forze dell’ordine. Racconta che oltre ad aver garantito dei posti barca ai pontili che gestisce in concessione, senza pretendere alcun pagamento, un emissario del clan D’Alessandro l’ha minacciato chiedendogli il pizzo. L’imprenditore fa il nome dell’esattore e indica alle forze dell’ordine di controllare le registrazioni delle telecamere per riscontrare ciò che dice. Ma al momento di formalizzare la denuncia fa marcia indietro.La richiesta estorsiva, però, è già agli atti dell’inchiesta Cerberus, perché attraverso le intercettazioni i carabinieri della compagnia di Castellammare sono già riusciti a documentare quella e altre imposizioni di pizzo nei confronto degli imprenditori portuali.Il racket imposto ai concessionari è una delle voci importanti del bilancio delle organizzazioni criminali. Castellammare negli ultimi anni ha sviluppato molto il settore diportistico, attraverso pontili che garantiscono l’attracco di migliaia di piccole imbarcazioni e i charter che offrono la possibilità di escursioni via mare verso i punti più belli del golfo di Napoli. Il porto stabiese ha una posizione strategica e non a caso anche molti imprenditori sanniti, irpini, casertani e dell’area vesuviana attraccano le loro barche a Castellammare, pagando in media tra i 2mila e i 5mila euro l’anno, a seconda delle dimensioni del natante.Per gli uomini del clan – come emerge dagli atti dell’inchiesta Cerberus – l’attracco dell’imbarcazione è gratuita. Un’estorsione alla quale si somma una dazione di denaro nei confronti dell’organizzazione criminale. I carabinieri hanno documentato il pizzo imposto dal ras Nino Spagnuolo, alias capastorta, per un periodo uomo di fiducia di Michele D’Alessandro, figlio del boss Luigi attualmente detenuto al 41-bis. Ma secondo il pentito Pasquale Rapicano, in alcuni casi, i titolari dei pontili venivano estorti non solo da Scanzano ma anche dai “Fasano”, ovvero la famiglia Fontana, da sempre attiva nella gestione degli affari illeciti nel rione dell’Acqua della Madonna. E sempre secondo il collaboratore di giustizia, nel porto ci sono anche concessionari che negli anni hanno versato una parte dei loro guadagni alla famiglia Di Somma del quartiere Santa Caterina.
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di Tiziano Valle
www.metropolisweb.it
2022-04-24 05:00:45 ,