Castrazione chimica: non è la soluzione alla cultura dello stupro ma parte del problema

Castrazione chimica: non è la soluzione alla cultura dello stupro ma parte del problema

Castrazione chimica: non è la soluzione alla cultura dello stupro ma parte del problema


In fondo la richiesta della castrazione chimica che Matteo Salvini rispolvera a ogni occasione – l’ultima in una diretta social di domenica 20 agosto – è del tutto funzionale al meccanismo dietro la violenza sessuale che non si intende modificare. Continuando a individuare nel lato prettamente sessuale l’origine di quel male nonché il fine ultimo della pena. Calza insomma perfettamente alla cornice sociale che ha partorito fatti come quello dell’inizio di luglio a Palermo: sette ragazzi, fra cui un minorenne, hanno brutalizzato una ragazza di 19 anni. Di più, se possibile: ne hanno cancellato ogni traccia d’umanità prima, durante e dopo l’aggressione. E per i quali il ministro dei Trasporti ha evocato la castrazione chimica.

La castrazione chimica è, direi quasi scientificamente, ciò che non serve. Fa male parlarne non solo perché è un provvedimento che viene venduto per ciò che non è ma soprattutto perché fornisce un salvacondotto prêt-à-porter alla violenza di genere e alle sue tenaci fondamenta sociali e culturali, alle sue radici che affondano in una visione del mondo, delle relazioni fra le persone e fra i generi e delle dinamiche di causa ed effetto mostruosamente maggioritaria.

Fa quasi pena, a chi scrive e legge, dover rammentare che la cosiddetta castrazione chimica è una terapia ormonale, talvolta associata a psicofarmaci, che ha l’effetto di ridurre la produzione e il rilascio degli ormoni sessuali come il testosterone e di altri come la dopamina, il neurotrasmettitore “della felicità”. Con l’obiettivo di abbattere il desiderio sessuale. Secondo alcuni esperti, come spiega Il Post, gli effetti sono reversibili, secondo altri meno.

Poco cambia: è una pratica condannata dal Consiglio d’Europa e da moltissime associazioni per i diritti civili e contrasta del tutto con la nostra Costituzione su diversi aspetti. Sconforta dover tornare alla Convenzione di Istanbul, ratificata dall’Italia nel 2013 e dall’Unione europea solo pochi mesi fa con la significativa astensione degli eurodeputati di Lega e Fratelli d’Italia che spiega come “la violenza contro le donne è una manifestazione dei rapporti di forza storicamente diseguali tra i sessi, che hanno portato alla dominazione sulle donne e alla discriminazione nei loro confronti da parte degli uomini e impedito la loro piena emancipazione”. Una violenza “strutturale” nonché un meccanismo sociale decisivo “per mezzo dei quali le donne sono costrette in una posizione subordinata rispetto agli uomini”. Se c’è qualcosa da “curare” è, quasi sempre, questo quadro di disparità di fondo su cui germoglia tutto il resto.





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di Simone Cosimi www.wired.it 2023-08-22 07:35:43 ,

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