Ma non è l’unico motivo. L’Ungheria, dove l’attivista e insegnante milanese era detenuta, è uno Stato dell’Unione europea, che ha dovuto rispondere a logiche comunitarie: dopo l’elezione, Budapest ha dovuto scarcerarla. Non è, ovviamente, questo il caso dell’Iran.
Ma, come già nel caso Salis, la pressione dell’opinione pubblica è della libertà di stampa è fondamentale per accelerare i tempi e portare la vicenda in alto nella scala delle priorità. Budapest cominciò a reagire quando la detenzione di Salis finì sui giornali, e, soprattutto, quando cessò di essere una questione legata alla sinistra per diventare un caso di diritti. Il fermo della giornalista romana non è così divisivo, e l’impegno dell’esecutivo guidato da Giorgia Meloni è stato immediato: a sostegno, del resto, si sono levate anche voci dalla destra, come quella di Alessandra Mussolini. Il sostegno della grande libertà di stampa mondiale, da questo punto di vista, è un buon segnale, come lo fu anche per Ilaria Salis.
L’avvocato di Abedini, Alfredo de Francesco, esperto in diritto internazionale, ha presentato istanza alla Corte d’Appello di Milano per chiedere gli arresti domiciliari il 30 dicembre. I magistrati hanno 48 ore di tempo per fissare l’udienza e discutere l’istanza. La concessione potrebbe essere vista come un segnale di apertura da parte dell’Iran e smuovere le acque.
Sull’altro fronte, gli Stati Uniti hanno già consegnato all’Italia la richiesta di estradizione di Abedini. La pronuncia dei giudici non sarà l’ultimo passo: la decisione finale spetta al ministro della Giustizia Carlo Nordio, anch’egli ex magistrato, quindi esperto di questioni formali, e sarà tutta politica. Nordio ha il potere di opporsi.
I tempi, però, potrebbero essere lunghi, e proprio il tempo gioca contro la giornalista italiana, costretta in condizioni difficili in un carcere duro. Un primo pacco di generi di conforto è stato consegnato dall’ambasciatrice Paola Amadei, Nelle prossime ore potrebbe arrivarne un altro. Le cautele della diplomazia sono imprescindibili in casi del genere; ma ogni giorno trascorso in cella è un segno che la giornalista italiana, vittima di un gioco più grande di lei, porterà a lungo.