Salvini, Berlusconi e centristi di Udc e Nci trattano sull’agenda: chiedono al premier Draghi di riformulare il reddito di cittadinanza e di rottamare le cartelle esattoriali
Una giornata sulle montagne russe per il centrodestra di governo, in continua oscillazione tra la trattativa e la rottura, e con l’irritazione, a tratti la furia, di tutti i leader riuniti a Villa Grande, residenza romana di Berlusconi, dove all’inizio di un vertice tra il Cavaliere (con Marta Fascina), Tajani, i capigruppo azzurri Bernini e Barelli, Ronzulli, Salvini con Molinari e Romeo, Cesa e Lupi è arrivata come «uno schiaffo violento» la notizia che Draghi aveva ricevuto in mattinata Enrico Letta e poi era salito al Quirinale per confrontarsi con Mattarella.
«Una provocazione», ma «come si permette di trattarci così? Ma chi siamo noi, i paria?» i commenti sempre più inferociti dei presenti, che a metà pomeriggio — dopo aver mandato una nota di protesta — lanciavano messaggi allarmatissimi: «Stiamo per rompere, si va al voto». Berlusconi si è sfogato: «Non mi fa una telefonata se non gli serve qualcosa, mai, io che l’ho voluto alla Bce e premier, e poi riceve Letta e a noi non ci chiama?». E ancora, tutti in coro: «Ma che ha in testa Draghi? O non sa cosa fa oppure pensa di essere il leader del campo largo con Letta e Conte. E allora si va al voto!».
Clima nerissimo, fino a quando, alle sette di sera, il premier ha finalmente chiamato Berlusconi invitandolo a Chigi per un colloquio e ricevendo un gentile ma gelido: «Verranno Tajani, Salvini, Lupi e Cesa e ti riferiranno le nostre posizioni». Incontro alle 20, dunque, e nel colloquio di un’ora i quattro, con gentilezza perché «non è con lui che ce l’abbiamo» ma con fermezza, hanno dettato le loro condizioni. Draghi ha chiesto: «Ma voi mi votate domani?». La replica: «Dipende».
Per votare serve innanzitutto che il M5S non sia più parte della maggioranza e del governo: «Noi — ha detto Tajani — la fiducia l’abbiamo data a te. E ora ci troviamo che quelli che ti hanno pugnalato rientrano tranquillamente e addirittura dettano le condizioni? Ma come potremmo reggerlo, noi che ci siamo divisi con FdI per sostenerti? Non firmeremo nemmeno un documento con loro, mai una mozione. Non devono stare al governo». Chiaro anche Salvini: «Noi — il senso del discorso — di questo Parlamento di voltagabbana non ci fidiamo. Se tu ti fidi dei transfughi dell’ultima ora, te ne assumi tu la responsabilità. Noi non vogliamo governare con chi si è dimostrato inaffidabile».
Ma non è tutto. Nel mirino del centrodestra finisce anche il Pd: «Non possiamo più accettare che loro dettino l’agenda con ius scholae, cannabis, suicidio assistito… Per noi è insostenibile». E lo è ancora di più «dare al Pd tempo per riorganizzarsi dopo la rottura del campo largo: non possiamo pensare ai problemi di Letta, se si va avanti — è l’altra condizione secca — si deve votare massimo a marzo, non a maggio». Ci sono poi i temi identitari, dalla riforma del reddito di cittadinanza al cuneo fiscale, alle cartelle esattoriali, e Salvini ha insistito nella richiesta di sostituire Lamorgese e Speranza, sulla quale gli alleati credono però che non ci sia spazio reale. Insomma, il dialogo, pur difficile, resta «anche perché Draghi ha capito che ha sbagliato con l’incontro con Letta. Ma il tema politico c’è».
Che succederà? «Ancora non ho deciso» ha detto Draghi ai suoi interlocutori, che però un’idea se la sono fatta: dovrebbe «andare avanti», contando sul fatto che «il M5S non voterà» e sarà alla fine un problema in meno. Ma nessuno ha ancora certezze. E «la giornata sarà lunga, molto lunga», ripetono i leader a Berlusconi, quando tornano a illustrare la situazione.
20 luglio 2022 (modifica il 20 luglio 2022 | 00:13)
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Paola Di Caro , 2022-07-19 22:13:30 ,