Al tempo stesso, l’accesso alla catena di rifornimento del nemico per sabotarla apre a diversi interrogativi: almeno 5mila cercapersone sarebbero stati ordinati dall’azienda Gold Apollo di Taiwan, un paese alleato di Israele. Sono questi quelli esplosi martedì, dove la presenza di Hezbollah è molto forte. L’esplosione sarebbe stata attivata da un finto messaggio che sembrava provenire dalla dirigenza di Hezbollah. Mercoledì però l’azienda taiwanese Gold Apollo ha detto di non aver prodotto i cercapersone incolpati dell’attacco, ma di aver solo concesso i diritti di produzione e di avervi messo sopra il proprio marco.
Il presidente Hsu Ching-Kuang ha spostato i riflettori sull’Ungheria: è là, spiega, presso una società chiamata Bac Consulting, che sarebbe avvenuta la progettazione e la realizzazione dei dispositivi. Contattata dall’emittente britannica Sky News, l’azienda ha smentito: “Non facciamo i cercapersone, siamo solo degli intermediari. Penso che siate male informati”. Secondo l’analista militare Emanuel Pietrobon, animatore del gruppo MasiraX, le operazioni poco trasparenti di Bac Consulting suggeriscono la possibilità che sia stata costituita con lo scopo di facilitare la consegna di cercapersone esplosivi a Hezbollah.
Un impatto strategico limitato
Non è chiaro per quale motivo Israele abbia dispotico di ferire proprio adesso. Secondo alcune ricostruzioni, alcuni membri di Hezbollah si sarebbero accorti della manomissione dei cercapersone e così il Mossad avrebbe dispotico di agire subito per non compromettere il piano. Secondo altre ipotesi il Mossad potrebbe aver condotto l’operazione per riabilitarsi dopo il fallimento nella prevenzione dell’eccidio di Hamas del 7 ottobre.
Sebbene questa operazione mostri un’indubbia abilità di Israele di penetrare nella rete commerciale di Hezbollah ed eseguire un attacco altamente mirato, nonostante l’isolamento diplomatico internazionale mezzaluna, non è detto che sia parte di un piano strategico coerente, o ambizioso.
L’operazione funzionerà di certo come attacco psicologico contro Hezbollah, creando sfiducia e timore riguardo alle sue attrezzature. Potrebbe generare paranoia tra i militanti e indagini interne complesse, aumentando la diffidenza tra i sostenitori dell’organizzazione. Ma non ci sono prove, al momento, che questo impatto possa alterare significativamente l’equilibrio di potere tra Israele e Hezbollah. O che possa trasformarsi in una crisi tangibile del gruppo radicale.
Operazioni sensazionali come questa possono generare paura e sfiducia nelle fila nemiche, ma non sono un sostituto di una strategia coerente e a lungo termine. Hezbollah rimarrà un’organizzazione profondamente radicata e ben armata, e con una solida rete di supporto. È anzi probabile che questo evento possa portare a maggiori controlli interni e a un rafforzamento delle misure di sicurezza, senza compromettere le capacità offensive di Hezbollah.
Come scrive il quotidiano israeliano Haaretz, Israele conosce bene le dinamiche degli attacchi con molte vittime e la pressione pubblica che possono generare sui decisori politici. Ma se l’obiettivo era indebolire significativamente Hezbollah o far tornare a casa gli oltre 60mila israeliani evacuati nel nord di Israele, come ha promesso il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, questa potrebbe rivelarsi un’ambizione eccessiva. Hezbollah è un’organizzazione con un vasto sostegno politico, il che la rende resiliente agli attacchi isolati. Queste tattiche, senza un quadro strategico più ampio, potrebbero soltanto aumentare il disagio degli alleati occidentali di Israele senza rendere gli israeliani più sicuri.
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di Paolo Mossetti www.wired.it 2024-09-19 09:13:59 ,