Gli scienziati si sono concentrati su due elettrodi in particolare: uno misurava l’attività delle onde vicino all’ippocampo, l’altro forniva lo stimolo nel lobo frontale del cervello. Durante lo stato attivo (“alto”) dell’onda lenta, l’elettrodo nel lobo frontale emetteva una serie di impulsi brevi e tenui. Nir la definisce la fase di “ascolto” dell’ippocampo, in cui si studiano le sue forme d’onda quando cerca di trasmettere informazioni ad altre parti del cervello. “Dopodiché abbiamo trasmesso nella corteccia stimoli leggeri e molto mirati, una specie di pizzicotto, per svegliarla e renderla attenta a ricevere il messaggio dell’ippocampo”, aggiunge.
I ricercatori la chiamano “stimolazione sincronizzata”. Ma il team ha testato anche un’altra forma di stimolazione, detta “a fase mista”, in cui l’elettrodo trasmetteva impulsi al lobo frontale indipendentemente dall’attività dell’ippocampo.
Per capire se le stimolazioni avevano effetti sulla memoria, gli scienziati hanno utilizzato un test in cui ai pazienti venivano mostrate immagini di personaggi famosi, abbinate a foto di animali domestici. I pazienti trascorrevano poi una notte ricevendo stimolazioni durante il sonno, e una notte senza alcun tipo di intervento. Dopo ciascuna notte, rivedevano le immagini dei personaggi famosi della sera precedente, insieme a a immagini “esca” di persone che non avevano mai visto. Gli scienziati valutavano quindi se il paziente era in grado di riconoscere i personaggi famosi, abbinarli al relativo animale domestico e scartare le immagini esca.
Gli studiosi hanno scoperto che, dopo la notte di stimolazione sincronizzata, la capacità di riconoscere i personaggi famosi già visti migliorava rispetto alla notte senza interventi. Il miglioramento non si riscontrava nei pazienti esposti alla stimolazione a fase mista, indice del fatto che per migliorare la memoria il tempismo della stimolazione era essenziale.
“L’aspetto più interessante tra quelli non previsti è stato l’aumento della capacità di individuare e scartare le immagini estranee”, spiega Maya Geva-Sagiv, già borsista post-dottorato presso il laboratorio di Fried, e oggi coautrice dello studio. Significa che, ricevendo una stimolazione sincronizzata durante il sonno notturno, i pazienti non abboccavano alle immagini-esca. Nel complesso i risultati indicavano che la memoria, dopo una stimolazione sincronizzata, migliorava.
E i miglioramenti si estendevano alla fisiologia del cervello. Il team ha infatti scoperto che la stimolazione sincronizzata aumentava la frequenza dei fusi del sonno, picchi di attività neurale (simili, non a caso, ai fusi di un elettroencefalogramma) che notoriamente hanno un ruolo nel consolidamento della memoria. A sentire Geva-Sagiv, i pazienti che presentavano i maggiori miglioramenti nella memoria erano anche quelli con il più marcato aumento dei fusi del sonno. Il team ha inoltre scoperto che dopo la stimolazione sincronizzata il cervello era più coordinato: le increspature ippocampali si producevano in sincrono con le onde lente e i fusi del sonno.
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di Maggie Chen www.wired.it 2023-08-18 04:40:00 ,