di Sandro Iannaccone
Non è nemmeno un cervello. Si tratta, piuttosto, di un gruppo di neuroni umani coltivati in provetta (o, per la precisione, in una capsula di Petri) e collegati a un microelettrodo che ne analizza l’attività in grado, udite udite, di “giocare” a Pong, lo storico videogame creato da Atari nel 1972. Ad annunciare l’impresa è un’équipe di scienziati della startup biotecnologica Cortical Labs, che, stando a quanto riporta New Scientist, sono per l’appunto riusciti a “insegnare” a circa 800mila neuroni umani, una sorta di mini-cervello, come intercettare la pallina dello storico videogioco. “Credo che sia giusto – ha commentato Brett Kagan, coordinatore del progetto, – chiamarlo cervello cyborg”. Non fa una piega.
I precedenti
La ricerca nel campo dei “cervelli in provetta”, effettivamente, non è nuova. Già nel 2019 un gruppo di scienziati della University of California, San Diego, aveva per esempio mostrato che gli organoidi cerebrali messi a punto in laboratorio, composti da cellule staminali pluripotenti e un milione di volte più piccoli di un “vero” cervello umano, erano in grado di stabilire connessioni tra loro e di produrre onde cerebrali molto simili a quelle dell’encefalo di un bambino prematuro.
In un altro studio, un team di ricercatori della University of Cambridge aveva spiegato di essere riuscito a coltivare un mini-cervello in provetta in grado di connettersi autonomamente al midollo spinale e al tessuto muscolare, compiendo così un importante passo in avanti per una migliore comprensione di disturbi come la malattia del motoneurone, l’epilessia e la schizofrenia. E più recentemente, a gennaio di quest’anno, gli esperti del Wyss Center di Ginevra, in Svizzera, hanno sviluppato dei mini-cervelli in provetta piccoli quanto una capocchia di spillo, ma molto promettenti per sostituire gli animali nei test di laboratorio.
L’esperimento
Ma torniamo al vecchio videogioco. Per “insegnare” ai neuroni a giocare a Pong, il team di Cortical Labs ne ha anzitutto creato una versione semplificata, senza avversari. Ai neuroni viene inviato un segnale che indica loro dove si trova la pallina (a destra e a sinistra); dopodiché le cellule inviano un segnale all’elettrodo che viene decodificato e muove la “racchetta” per intercettare la pallina stessa. Un po’ come se i neuroni fossero diventati il cervello della racchetta.
“I mini-cervelli non sanno giocare bene come un essere umano – ha spiegato ancora Kagan – ma imparano più velocemente di alcune intelligenze artificiali. L’aspetto più sorprendente è difatti quanto siano veloci a imparare: lo fanno quasi in tempo reale. È una proprietà straordinaria, che ci mostra tutte le potenzialità dei sistemi biologici”. Incredibile per davvero.
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www.wired.it
2021-12-21 15:38:10