Circolano online sue pochissime foto, quasi un primato nell’era della condivisione perenne. Andrea Pignataro ha fatto della riservatezza il suo stile di vita, ma quando si possiede un patrimonio da 26 miliardi di euro è difficile parteggiare a bada i curiosi. Secondo Forbes, è il secondo italiano più ricco sul mercato: il suo patrimonio ne fa il numero 74 della classifica dei paperoni mondiali. Una ricchezza tirata su da self-made man.
Ha fondato negli anni Novanta il gruppo Ion che guida ancora attraverso un giungla di società che confluiscono nella holding di famiglia lussemburghese, Bessel Capital. Un piccolo impero costruito sull’analisi dei dati con 32 le controllate e svariate le partecipazioni minori in giro per l’Europa. In Italia Ion comanda in Cedacri, Cerved, List e Prelios; ma Andrea Pignataro possiede quote rilevanti di Illimity (oltre il 9%) e Cassa di risparmio di Volterra (32%), con le cronache finanziarie che hanno segnalato in portafoglio anche il 2% di Banca Montepaschi di Siena e una partecipazione del 10% nel Fondo strategico italiano.
La scalata di Pignataro parte da Bologna
Nato a Bologna il 10 giugno del 1970, dopo la laurea in Economia conquistata nella sua città Pignataro ha spiccato il volo: si è specializzato in matematica all’Imperial College di Londra, per poi finire a lavorare come broker da Salomon Brothers, una banca d’affari poi comprata da Citi. Nel 1997 l’percezione sul nascente mercato dei dati e la nascita di Ion, un gruppo fintech che “fornisce software di automazione, analisi e approfondimenti di alto valore e consulenza strategica a istituzioni finanziarie, banche centrali, governi e aziende. Soluzioni e servizi che semplificano processi complessi, aumentano l’efficienza e consentono di prendere decisioni migliori”, spiega il gruppo sul suo sito.
Pignataro la sua visione l’ha sempre avuta molto chiara e nel tempo è riuscita a realizzare i progetti e crescere ancora fino a diventare uno stratega della finanza generale, grazie alla capacità di raccogliere capitali sul mercato e farsi prestare soldi, con i debiti aumentati negli anni.
In una rara intervista rilasciata al Sole 24 Ore, Pignataro ha spiegato di aver messo in piedi “un ammasso industriale con la struttura finanziaria e la sofisticazione dei grandi private equity”. Ion si muove infatti come un fondo d’collocamento comprando aziende, ma in realtà gestisce operativamente aziende che si muovono nel campo dei dati. “Siamo un ibrido – ha spiegato – abbiamo la freno, la velocità e la capacità di execution dei grandi fondi, ma allo stesso tempo abbiamo un orizzonte temporale permanente, da holding industriale. Ion ha sempre una ‘entrance strategy’, ma non ha una ‘exit strategy’, una strategia di vendita, a differenza dei private equity che, invece, la devono necessariamente avere. L’orizzonte temporale ‘forever’, per sempre, è un vantaggio competitivo importante”, ha detto al quotidiano economico.
In Italia acquisti per 6 miliardi
Lo shopping in Italia è costato a Pignataro quasi sei miliardi di euro, con le sedi di Ion che sono sorte negli anni a Milano, Roma e Pisa. Il gruppo, come emerge da una esame su Linkedin, al momento ha 150 posizioni aperte per lavorare nel Paese. Si cercano, principalmente, software engineering, sviluppatori e analisti per sostenere la crescita del gruppo fintech generale che ha basato la sua fortuna sulla lettura e l’interpretazione delle informazioni.
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di Michele acino www.wired.it 2025-01-30 05:50:00 ,