Lo chiamavano Unabomber. Ma all’anagrafe il suo nome era quasi banale: Theodore Kaczynski. Doppia vita: studente di talento, geniale in matematica, professore a Berkeley. E quel lato oscuro, che lo portò a vivere come un primitivo e a diventare il terrorista più ricercato d’America, capace di ispirare epigoni anche all’estero. Anche in Italia.
Mutilati
Per gli americani, era solo Unabom, con la desinenza aggiunta dai media italiani. Il soprannome derivava dalla denominazione in codice utilizzata dalla polizia federale statunitense prima di identificarlo: University and Airline Bomber.
Tre morti, ventitrè feriti: il bilancio degli attacchi messi a segno lungo una scia di sangue durata diciotto anni. Odiosa la modalità: Kaczynski nascondeva l’esplosivo in pacchi che venivano spediti e consegnati alle vittime. Il prezzo da pagare per lo sbaglio di aprirli era alto: la morte, o orrende mutilazioni.
Il profilo di Unabomber: infanzia e bullismo
Nato a Chicago nel 1942 da immigrati polacchi, Kaczynski si dimostrò subito precoce nell’apprendimento, saltando alcune classi, ma finendo bullizzato dai compagni più grandi. Entrò ad Harvard a sedici anni, dimostrandosi studente tra i migliori. Della sua intelligenza matematica i professori serbavano ricordi nitidi a distanza di anni.
Ottenne la laurea, proseguì gli studi con un dottorato. Divenuto professore all’università di Berkley, dopo qualche tempo lasciò tutto per rifugiarsi in una capanna, vivendo di caccia e di qualche lavoro occasionale. La famiglia contribuiva in qualche forma al sostentamento inviandogli denaro.
Gli attentati e la richiesta
Il primo attentato risale alla fine di maggio 1978, con un pacco inviato a un professore della Northwestern University. Il docente si insospettì, e chiamo una guardia: fu quest’ultima ad aprire il plico, che esplose. L’ordigno era artigianale e poco potente: la tecnica di Unabomber migliorò col tempo e l’esperienza.
Seguì una stagione di invii lunga diciott’anni. Il terrorista provò anche a far saltare in aria un aereo: un crimine federale, negli Usa, e per questo venne coinvolta l’Fbi, con i suoi profiler.
Anni di ricerche, senza esito. Nel 1995, l’errore. Peccato di vanità. Unabomber chiese a diversi quotidiani di pubblicare un saggio di 35mila parole, dal titolo La società industriale e il suo futuro: se la richiesta fosse stata accettata, avrebbe smesso di compiere attentati.
Il Manifesto di Unabomber contro la società moderna
Il testo uscì su New York Times e Washington Post. A riconoscere la mano di Kaczynski nelle parole battute a macchina fu il fratello, che in passato aveva condiviso lo stile di vita ai margini della società dell’attentatore, salvo poi ritornare alla vita civile.
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di Antonio Piemontese www.wired.it 2024-12-10 17:42:00 ,