È deceduto L’uomo di Rio, ci ha lasciato L’uomo di Hong Kong, Borsalino non è più tra noi.
A 88 anni, dopo decine e decine di film, dalla Nouvelle Vague alla action comedy (ante litteram), passando per il più classico dei noir francesi, dopo un Premio Cesar (1989, Una vita non basta), un Leone d’Oro e una Palma d’Oro (2011 e 2016, entrambi alla carriera), dopo una vita vissuta Au bout de souffle (1960, regia di Jean Luc Godard), Jean Paul Belmondo, il duro dal cuore tenero, lo spericolato senza controfigura, esce definitivamente di scena, lasciandoci un po’ più ‘normali’ e perciò un po’ più tristi.
Il viso dai lineamenti decisi, un’espressività tutta sua, una gestualità e una mimica quasi italiane (come lo furono i nonni paterni), affiancato spesso da un ottimo doppiaggio dell’inossidabile Pino Locchi (sue tra le altre le voci di Sean Connery, Sidney Poitier, Giuliano Gemma), Jean Paul Belmondo ha saputo con nonchalance cambiar pelle (professionalmente) secondo le stagioni e le vocazioni.
Emerso grazie a Fino all’ultimo respiro (Jean Luc Godard, 1960), muove i primi passi nella nouvelle vague francese: il filone innovativo e personalistico, che elude i canoni documentaristici e moraleggianti del cinema francese di fine Anni Cinquanta, trova nella sua interpretazione la freschezza e la naturalezza informale caratteristici del nuovo approccio narrativo.
Lunga è poi la stagione del noir classico: da Asfalto che scotta (Claude Sautel, 1960) a Leon Morin e Lo spione (1961 e 1962, entrambi di Jean Pierre Melville), che con Borsalino (1970, diretto da Jacques Deray) incrocia quel che sarà il nuovo percorso dell’attore, più orientato a polizieschi e commedie d’azione di botteghino, spesso molto apprezzati dal pubblico.
È il filone de L’uomo di Hong Kong e L’uomo di Rio (1964 e 1965, Philippe de Broca), Irresistibile bugiardo (1984, Georges Lautner), L’oro dei legionari (1984, Henri Verneuil), in cui perfeziona il suo personaggio: sornione, beffardo, spaccone, autoironico, recitando spesso senza controfigura (spaccone per davvero…) le scene d’azione più spettacolari.
Una carriera quindi ricca, poliedrica, in cui il Nostro alterna i registri drammatici a quelli farseschi, i noir a tinte cupe alle piroette scoppiettanti, una carriera in cui spicca, insolito, unico e un po’ malinconico, l’esilarante Come si distrugge la reputazione del più grande agente segreto del mondo (1973, De Broca), ovvero il trionfo dell’autoironia più generosa e graffiante.
François Merlin, malpagato scrittore di successo, è autore delle imprese di un tronfio e grossolano Bob Saint-Clair, agente segreto e belloccio impenitente. Il contrasto tra la vita e l’arte (sic) non potrebbe essere più eclatante: François, divorziato e squattrinato, vive in un modesto appartamento mal messo, tormentato dalle bizze di idraulici ed elettricisti, mentre Bob (la sua creatura) inanella flirt clamorosi, insegue e vince ignobili malfattori e spie corrotte.
Il tutto finché Bob, stanco di sé e della pochezza del suo scrivere, decide di “liberarsi” di Bob, che dall’oggi al domani (nella sua narrazione) inciampa in una serie di sfighe inenarrabili, umilianti e degradanti. È anche l’occasione, per lo scrittore, di piazzare (al peggio) nel suo racconto idraulici ed elettricisti indisponenti, editori viscidi e tronfi, vigili urbani strafottenti. La realtà irrompe nel racconto, quindi, e la ribellione alle quotidiane angherie del mondo alla fine porterà i suoi frutti. L’interpretazione di JPB – nel doppio ruolo di scrittore e agente segreto (stereotipato e cartonatissimo) – è genuina, e fedele alla mission: ridicolizzare e mettere alla gogna senza pudori proprio i suoi ruoli prediletti, con un sorriso sornione e ammiccante.
Ecco chi era per noi Jean Paul Belmondo: spesso nei panni del belloccio, un po’ spaccone e beffardo. Ma anche interprete sensibile, poliedrico e capace di adottare registri interpretativi diversi, padroneggiando nuances diverse e delicate. Ci mancherà, Jean Paul Belmondo, proprio un gran bel tipaccio.
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di Davide Benedetto
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2021-09-09 08:31:19 ,