L’aumento dell’export così deciso è però legato soprattutto all’aumento dei prezzi del farmaco stesso, più che a una diffusione di massa dello stesso a ogni angolo del territorio cinese. I volumi delle esportazioni del prodotto sono aumentati del 62% a febbraio 2023, mentre il deflatore implicito calcolato dall’Institute of International Finance è aumentato del 1000% nello stesso periodo. “Di fronte a un acquirente insensibile ai prezzi, la farmaceutica italiana sta realizzando un bel profitto”, commenta Brooks su Twitter.
Ma siamo sicuri che l’aumento delle vendite del farmaco per il fegato sia l’unica ragione di questo aumento? Secondo il Post si tratta di una ipotesi “decisamente improbabile, poiché le aziende coinvolte nella produzione e nella vendita del farmaco smentiscono di avere avuto grossi aumenti degli ordini”. Come suggerito a titolo personale su Twitter da Peter Ceretti, analista della società di consulenza Eurasia Group, è probabile che ci siano stati movimenti delle multinazionali farmaceutiche tedesche che hanno anche succursali in Italia, come per esempio Pfizer o Novartis. Anche perché “dai dati Eurostat si vede che da metà del 2022 c’è stato un aumento considerevole delle importazioni italiane dalla Germania di farmaci confezionati per la vendita al dettaglio”.
C’è poi da sottolineare, come spiega a Wired Italia il fiscalista della Shanghai University Lorenzo Riccardi, che “i dati Istat italiani differiscono da quelli delle dogane cinesi per tempi di spedizione e altri criteri”. Più nel dettaglio: “La differenza è data dal metodo di imputazione delle due dogane, diverse valute, diversi criteri di imputazione noli e assicurazioni, (FOB Italia, CIF Cina), diversa tempistica per export da Italia e import da Cina per le 5 settimane di durata del trasporto marittimo”, aggiunge Riccardi. Non è un caso che secondo i dati cinesi, nei primi tre mesi del 2023 le esportazioni italiane risultino aumentate del 7,4%, comunque al di sopra della media Ue del 5,9%.
La decisione di Meloni sulla Via della Seta
Al di là delle ragioni concrete dell’aumento delle esportazioni italiane in Cina, c’è un’interessante coincidenza di tempi con l’imminente decisione del governo Meloni sulla Belt and Road. Il memorandum of understanding firmato nel 2019 dal governo “del cambiamento” di Giuseppe Conte scade nel marzo del 2024. Il rinnovo è automatico, ma l’Italia se intende uscire deve comunicarlo a Pechino entro il prossimo dicembre.
L’esecutivo è sotto pressione di Washington per uscire dall’accordo, ma allo stesso tempo non vuole pregiudicare i rapporti con la Cina. Si temono ritorsioni e conseguenze soprattutto sul fronte commerciale. Nei giorni scorsi, il portavoce del ministero degli Esteri Wang Wenbin ha parlato dell’argomento in risposta alle indiscrezioni secondo cui Meloni avrebbe anticipato allo speaker del Congresso americano Kevin McCarthy che l’orientamento del governo sarebbe quello di uscire dal progetto: “Da quando Cina e Italia hanno firmato il documento sulla Bri sono stati raggiunti risultati fruttuosi”. Per poi invitare l’Italia a “sfruttare ulteriormente il potenziale” dell’accordo.
Non sarà la vicenda del farmaco a far cambiare idea a Meloni, ma saranno importanti i dettagli con cui il governo comunicherà la sua possibile (probabile) fuoriuscita. La premier lo dirà prima a Joe Biden o a Xi? Anche da questo potrebbe dipendere il futuro dei rapporti bilaterali.
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di Lorenzo Lamperti www.wired.it 2023-05-16 04:50:00 ,