Il punto di partenza è rappresentato da un dato, segnalato dalla Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite nel ciclo rifiuti, lo scorso settembre: la percentuale di buste di plastica che viola la legge è pari a circa il 25% del totale di quelle commercializzate. In pratica: in Italia uno shopper su quattro è illegale, o realizzato in plastica tradizionale, nonostante questa sia ormai vietata dal 2018, oppure presenta diciture elusive, o, ancora, vanta certificazioni contraffatte. Il risultato è sempre lo stesso: rischi sanitari per i consumatori, concorrenza sleale per gli operatori che rispettano la legge, danni ambientali per il territorio, perché molto spesso le buste di plastica illegali sono usate come se fossero realizzate in bioplastica compostabile.
Un’azione di contrasto al questo fenomeno, che non solo provoca inquinamento, ma rischia di danneggiare l’importante riciclo dei materiali biodegradabili, arriva ora dall’alleanza tra l’Istituto per i polimeri, compositi e biomateriali (Ipcb) del Consiglio Nazionale delle Ricerche e il consorzio Biorepack, che all’interno del sistema Conai si occupa di aumentare il riciclo organico degli imballaggi in bioplastica compostabile.
Come individuare i sacchetti illegali
L’obiettivo della collaborazione, avviata il 20 dicembre con la firma di una convenzione, è indagare su quanto sono diffusi i sacchi per asporto merci e i sacchetti per alimenti sfusi che contengono poliolefine (macromolecole ottenute dalla polimerizzazione di petrolio o gas naturale) e, in particolare, il polietilene (il più diffuso tra le poliolefine). Ad oggi, l’Ipcb di Catania è l’unico istituto di ricerca in Europa ad aver messo a punto una metodica che permette di scovare il polietilene all’interno di sacchetti di plastica venduti come compostabili. Non a caso, da tempo riceve richieste di analisi degli imballaggi da organizzazioni ambientali, laboratori privati e organismi industriali di diversi Paesi Ue.
“Il polietilene – spiega la ricercatrice dell’Cnr-Ipcb, Paola Rizzarelli, che guida un team composto anche da Emanuele Mirabella e Marco Rapisarda – è fra le più comuni materie plastiche, perché costa molto meno rispetto ad altri polimeri”. Proprio la sua economicità ne incentiva così l’utilizzo anche dove sarebbe vietato. “Nei bioshopper non può essere presente, se non in percentuali minime, poiché non è un polimero biodegradabile – continua Rizzarelli -. Lo standard europeo EN13432, (che stabilisce i criteri che un imballaggio deve possedere per poter essere considerato compostabile ndr), fissa la percentuale tollerata del polietilene sotto l’1%. Percentuali maggiori potrebbero infatti compromettere la biodegradabilità e la compostabilità degli involucri”.
Tutelare la produzione di compost di qualità
L’interesse di Biorepack per le ricerche del Cnr è chiaro: le bioplastiche compostabili sono essenziali per migliorare la raccolta differenziata dei rifiuti organici, grazie alla quale vengono trasformate in compost negli impianti di trattamento. La presenza di imballaggi contraffatti, insieme ad altri materiali non compostabili (plastiche tradizionali, vetro e metalli) rende difficoltoso il lavoro degli impianti di digestione anaerobica e compostaggio e crea ostacoli alla produzione del compost, fertilizzante naturale molto utile in agricoltura sia convenzionale sia biologica.
“Contrastare i comportamenti illegali, per quanto difficile e faticoso, è l’unico modo per tutelare l’efficacia degli imballaggi in bioplastica compostabile e per valorizzare il loro pregiato apporto in favore della cura dei suoli agricoli, che possono trovare grande giovamento dall’uso del compost derivante dai rifiuti organici. – osserva Marco Versari, presidente di Biorepack – Il contributo scientifico del Cnr di Catania sarà fondamentale per sostenere le nostre attività di contrasto a questo fenomeno”.
La sfida della ricerca scientifica
In base all’accordo, il Cnr-Ipcb effettuerà la ricerca e l’analisi dell’eventuale contenuto di polietilene su campioni di sacchetti per asporto merci e per imballaggio di alimenti sfusi reperiti nei punti vendita dei supermercati, nei mercati e nei negozi, in modo da verificarne la conformità alla legge. Le indagini avranno inizio nel gennaio del prossimo anno e i risultati verranno resi noti nel corso del 2023. “Il nostro metodo si basa su due tecniche analitiche: una qualitativa e l’altra quantitativa – spiega la ricercatrice del Cnr – i due aspetti combinati permettono di svelare la natura chimica del materiale, fornendo una sorta d’impronta digitale del polietilene, e di determinarne successivamente la quantità presente”.
Si tratta di un approccio che mostra, una volta di più, l’eccellenza della ricerca italiana. “La metodologia sviluppata dal nostro team – sottolinea Domenico Garozzo, direttore del Cnr-Ipcb – permette di contrastare un pericolo ambientale ed evitare un danno economico sia per gli impianti di biodigestione anaerobica e compostaggio, ma più in generale per la filiera virtuosa delle bioplastiche, svolgendo anche un servizio a tutela dei consumatori e quindi della società”.
Source link
[email protected] (Redazione di Green and Blue) , 2022-12-21 10:50:48 ,
www.repubblica.it
[email protected] (Redazione di Green and Blue) , 2022-12-21 10:50:48 ,
Il post dal titolo: Cnr e Biorepack insieme per scovare le buste di bioplastica illegali scitto da [email protected] (Redazione di Green and Blue) il 2022-12-21 10:50:48 , è apparso sul quotidiano online Repubblica.it > Green and blue