AGI – L’hub tecnologico di Shenzhen e la provincia nord-orientale del Jilin sono le ultime località in cui la Cina ha imposto il lockdown per contenere la diffusione del Covid-19. Nonostante i contagi rimangano su livelli molto più bassi che in altri Paesi, Pechino attua una politica di “contagi zero” che mira a estirpare il virus nel Paese asiatico, anche a scapito di ripercussioni sull’economia, che già lo scorso anno subì significative decelerazioni nella ripresa post-Covid.
Per il futuro, il primo ministro cinese, Li Keqiang, ha promesso misure “più mirate e basate sulla scienza”, a seconda dell’andamento dell’epidemia, ma la linea dei “contagi zero” è riapparsa proprio in questi giorni, in cui la Cina soffre per la diffusione della variante Omicron.
La strategia cinese, coordinata a livello nazionale dalla vice primo ministro Sun Chunlan – unica donna a sedere tra i 25 membri del Politburo del Partito Comunista Cinese – si fonda sull’istituzione di lockdown ferrei, con la possibilità di uscire per fare la spesa solo una volta ogni due giorni per i membri di un unico nucleo familiare, e, a volte, improvvisi.
I cinesi ricevono l’annuncio delle restrizioni tramite gli account WeChat – la piattaforma di messaggistica e servizi operata da TenCent, una sorta di “super-app” cinese – delle amministrazioni locali coinvolte, come successo in questi giorni, a Shenzhen e nel Jilin, in quello che è il primo lockdown a livello provinciale, in Cina, dallo scoppio dell’epidemia a Wuhan, all’inizio del 2020.
Per contenere la diffusione del virus, la Cina mette in campo, oltre ai lockdown, anche i test di massa per milioni di persone: durante il lockdown vengono allestite postazioni all’aperto, che si contraddistinguono dalle lunghe file (e, spesso, dalla calca) dei residenti di una determinata zona, a cui è chiesto di sottoporsi al tampone.
Non solo città e province sono interessate da questa procedura, che si applica anche a residenti di distretti cittadini e di singoli complessi residenziali. Alcune aree sono più sensibili di altre, e in cima alla lista figura Pechino: già dal 2020, una delle principali preoccupazioni dei dirigenti cinesi era quella di evitare la diffusione del virus nella capitale cinese, e l’attenzione verso la città è tornata a farsi sentire con l’avvicinarsi delle Olimpiadi Invernali.
Nel caso dello scoppio di un focolaio di ampie dimensioni, poi, sotto osservazione vanno direttamente le autorità locali, con molti casi – a cominciare proprio dai vertici di Wuhan a inizio 2020 – di funzionari defenestrati per non essersi attenuti alle disposizioni di Pechino.
L’imposizione del lockdown ha, spesso, preso di sprovvista i residenti: è accaduto a dicembre scorso, pochi giorni prima di Natale, quando i tredici milioni di abitanti di Xian, nella Cina interna, seppero delle restrizioni. Con il passare dei giorni, i residenti della città nota per l’esercito di terracotta, attraverso Internet, si trovarono costretti a fare ricorso al baratto come forma di commercio quando cominciarono a scarseggiare i beni di prima necessità: su Internet circolarono immagini di chi era pronto a scambiare anche mezzi e apparecchiature tecnologiche in cambio di generi alimentari.
Le ripercussioni delle chiusure sull’economia si sono fatte sentire soprattutto attraverso i colli di bottiglia logistici e le interruzioni alla catena di approvvigionamento, in presenza di contagi nelle infrastrutture: a destare preoccupazione, ad agosto scorso, fu la chiusura per due settimane del terminal Meishan del porto di Ningbo – uno dei moli più importanti, che gestisce circa il 20% del totale del volume di traffico dello scalo marittimo – in seguito all’accertamento di un caso confermato di Covid-19 tra gli addetti portuali.
Source link
Eugenio Buzzetti , 2022-03-14 16:34:42
www.agi.it