Ma cosa lo frena in Italia? Per Porcu ci sono quattro barriere. Prima: la mancanza di competenze. “Soprattutto quelle in data science sono carenti e molto costose. Spesso chi le ha viene poi utilizzato anche per la preparazione di dataset adatti all’AI, compito che sarebbe degli informatici, innescando un circolo vizioso – spiega – saranno sempre più necessarie anche le figure ponte, per favorire il trasferimento tecnologico, per integrare in modo sensato l’AI nei piani di business”. In Italia mancano anche le startup AI, “perché non esiste un ecosistema disposto a investirvi e pronto a supportarne in modo strutturato la crescita – aggiunge Porcu – i casi d’uso aziendali dell’AI sono inoltre pochi e poco chiari. Non si è ancora compreso che l’integrazione di questa tecnologia comporta un netto cambio di business, di organizzazione interna e di mindset”. La quarta barriera all’AI presente in Italia, presente anche nel resto dell’Unione Europea, è la privacy, “ma da noi è un ostacolo particolarmente robusto – fa osservare Porcu – e colpisce soprattutto i settori che spingerebbero sull’AI: banche, sanità e assicurazioni”
L’AI generativa fa i conti con la sostenibilità
Una buona occasione per aprire le porte all’AI potrebbe essere quella del bilancio di sostenibilità. Oracle propone alle aziende di coglierla con una sua applicazione,Oracle Fusion Cloud Sustainability, che perfeziona il reporting sfruttando l’AI generativa in primis per espandere la classificazione delle fatture e migliorare la qualificazione dei fornitori. Come spiega a Wired Italia Elena Avesani, vice president della sustainability applications strategy di Oracle, “per garantire un fattore di misurazione delle emissioni preciso ci si deve assicurare che enormi volumi di fatture siano classificati in modo corretto e, attualmente, la loro mappatura viene creata manualmente. L’AI generativa può contribuire con alcune mirate raccomandazioni, aumentando l’accuratezza della contabilizzazione delle emissioni di carbonio e migliorando trasparenza e rendicontazione”.
Lato fornitori, invece, Oracle usa questa tecnologia per astenersi da questionari a tappeto e poco pertinenti, chiedendole di generare domande di qualificazione ambientale, sociale e di governance specifiche, sia per settori che per area. “Questo aiuta a coinvolgere e monitorare i partner della supply chain e a supportare buyer e aziende – spiega Avesani -. Non è infatti scontato che che tutti abbiano già le competenze e l’esperienza adeguata a gestire i rischi Esg più rilevanti per settore”.
Si capisce a cosa serve, non richiede competenze specifiche e non minaccia la privacy: questo framework flessibile e accessibile che automatizza fortemente i processi di reporting e ne migliora l’accuratezza potrebbe piacere anche in Italia. Anzi, aiuterebbe tante aziende a mettersi al passo con un obbligo che le più grandi hanno e le altre avranno.