Quale futuro per i rapporti tra Stati Uniti e Unione Europea nel settore digitale? Al di là della “guerra dei chip” e della competizione per lo sviluppo dell’intelligenza artificiale, l’ambito su cui si concentrano le preoccupazioni è quello del rispetto della privacy e delle modalità di trattamento dei dati dei cittadini europei.
Un tema, quello dei dati, che ha già vissuto anni turbolenti e che rischia di avere ripercussioni pesantissime su tutte e due le sponde dell’Atlantico. La nuova governo Trump, infatti, ha già mandato segnali inquietanti che potrebbero presagire a un’inversione di rotta nella cooperazione con il vecchio continente.
I precedenti tra sentenze e accordi falliti
Il tema del trattamento dei dati personali dei cittadini europei è uno di quei punti su cui l’Unione e gli Stati Uniti hanno avuto, storicamente, grandi difficoltà a trovare un accordo. La ragione è che si tratta di due paesi molto diversi, soprattutto a livello legislativo. “Se l’Unione Europea ha norme molto precise, al punto da aver propagandato la tutela nella Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, gli Usa da parte loro hanno un quadro legislativo decisamente più lasco”, spiega Oreste Pollicino, professore di diritto costituzionale e della regolamentazione dell’AI all’Università Bocconi e ideatore di Pollicino Advisory. “L’unica norma di livello elevato è il quarto emendamento della costituzione statunitense, che si occupa originariamente di intrusioni nella proprietà altrui e viene applicato per estensione al trattamento dei dati”. Insomma: stiamo parlando di due mondi radicalmente diversi.
Non stupisce che i tentativi di armonizzare le norme si siano scontrati con una serie di problemi. Negli ultimi 25 anni, infatti, sono saltati ben due accordi che provavano a regolare la gestione dei dati dei cittadini europei da parte delle aziende Usa. Sia il Safe Harbor del 2000 che il Privacy Shield del 2016 sono stati “abbattuti” da sentenze della Corte di Giustizia Europea, obbligando le due parti a trovare soluzioni alternative.
L’effetto Schrems nei rapporti con gli Usa
In entrambi i casi la rottura è stata determinata da cause intentate da Maximiliam Schrems, attivista austriaco a capo dell’organizzazione per i diritti digitali NOYB (None Of Your Business), che ha denunciato Facebook avanti la Corte di Giustizia Europea per le modalità del trattamento dei dati dei cittadini europei.
In sintesi, la Corte ha risoluto in entrambi i casi che il quadro giuridico statunitense non offre le stesse garanzie di quello europeo. Un approccio, questo, che secondo Oreste Pollicino rappresenta uno dei problemi che minano alla base il rapporto tra Usa e Ue. “Le richieste della Commissione Europea, in un primo momento, richiedevano che gli altri paesi trattassero i dati dei suoi cittadini con quello che veniva definito ‘un livello adeguato’ di protezione della privacy. Il concetto di ‘adeguatezza’, con le sentenze Schrems, è stato però interpretato in maniera estensiva, arrivando a richiedere non una adeguata protezione della privacy, ma una sostanziale equivalenza, in termini di livelli di tutela, tra ordinamento statunitense a quello garantito all’interno dell’Unione”.
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di Marco Schiaffino www.wired.it 2025-01-31 06:00:00 ,