Torre del Greco. Disattivò l’allarme sonoro collegato al lettino di un anziano ricoverato in terapia intensiva e provocò – al momento di una sopravvenuta crisi cardiaca del paziente – un netto ritardo dei soccorsi: infermiera condannata a un anno di reclusione per omicidio colposo. A sette anni dalla morte di Gustavo Biagi – avvenuta all’interno dell’unità coronarica dell’ospedale Maggiore di Bologna – i giudici della suprema corte di cassazione scrivono la parola al braccio di ferro giudiziario portato avanti da M.C., la professionista di Torre del Greco ritenuta responsabile dell’incauta e negligente azione alla base della tragedia.
L’inquinamento acustico
I fatti risalgono al 20 febbraio del 2013, quando Gustavo Biagi venne ricoverato presso il reparto di terapia intensiva cardiologica dell’ospedale Maggiore di Bologna per essere sottoposto a un delicato intervento chirurgico. Al paziente venne espiantato per necessità clinica il defibrillatore, in attesa dell’operazione da eseguire il giorno successivo. Ebbene, M.C. e il collega incaricati del turno di notte per «scongiurare un eventuale inquinamento acustico» decisero di disattivare tutti i campanelli collegati alle varie postazioni di terapia intensiva, compreso l’allarme sonoro collegato al lettino di Gustavo Biagi. Un’anomala procedura, adottata per «stare tranquilli» durante la notte, costata la vita al paziente. Sì, perché al termine del servizio – secondo la ricostruzione agli atti dell’inchiesta – i due infermieri «dimenticarono» di avvisare i colleghi subentranti nel turno diurno della loro decisione: una dimenticanza fatale per il malato, colpito da una crisi cardiaca e inutilmente «aggrappato» al campanello. I camici bianchi prestarono i primi soccorsi alle 9 in punto, quando la prima fase di semplice tachicardia ventricolare – registrata dagli apparecchi elettrocardiografici – era iniziata alle 8.48: un ritardo di 12 minuti provocato proprio dal mancato allarme e – secondo gli investigatori – decisivi per la morte del paziente. Fu proprio il primario del reparto – durante i primi accertamenti sulle cause del decesso e sul cattivo funzionamento dell’allarme sonoro e visivo – a scoprire il «mistero». La stessa M.C. e il collega, poi, ammisero di avere disattivato il campanello. Dando così, inconsapevolmente, il via alla tragedia.
La battaglia legale
Già a maggio del 2015 la corte d’Appello di Bologna aveva condannato la quarantenne di Torre del Greco a due anni di reclusione per omicidio colposo. Un verdetto annullato con rinvio dalla suprema corte di Cassazione a luglio del 2019, pronta a chiedere ulteriori approfondimenti legali sulla vicenda. A maggio del 2020, era arrivata la seconda condanna per M.C.: un anno di reclusione, con il beneficio della sospensione condizionale della pena. Una sentenza impugnata nuovamente dall’infermiera davanti agli ermellini di Roma. Ma i magistrati della terza sezione penale – presidente Giovanni Liberati – hanno confermato il verdetto di secondo grado e condannato la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di 3.000 euro in favore della cassa delle ammende. «Se il sistema di allarme acustico e visivo fosse stato collegato – concludono gli ermellini di Roma – adempiendo alla sua specifica funzione avrebbe allertato il personale ospedaliero ben prima di quanto sia, invece, casualmente avvenuto nella fattispecie». Salvando, magari, la vita del paziente ricoverato in terapia intensiva e colpito da crisi cardiaca.
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di Alberto Dortucci
www.metropolisweb.it
2022-01-12 08:26:42 ,