Mettiamola così. Il Parlamento ha perso la sua centralità; i governi nascono e muoiono deboli; la giustizia è in piena «crisi di fiducia»; la stampa è accusata di «conformismo e faziosità»; perfino il Papa è contestato… In questa generale caduta degli dei, resiste invece il presidente della Repubblica, l’istituzione alla quale si continua a guardare come ultimo punto di equilibrio e stabilità.
Sarà anche per questo che ogni sette anni intorno all’elezione del Capo dello Stato cresce la curiosità e spasmodica si fa l’attesa che il rito si compia. Stavolta, poi, la corsa è cominciata mesi prima, forse nel momento stesso in cui Sergio Mattarella, un anno fa, ha affidato il governo a Mario Draghi con tanto di larga maggioranza. Solo che in 76 anni e dodici corse presidenziali (magari tredici considerando il bis di Giorgio Napolitano, così il destino di chi verrà non sarà segnato dal fatidico numero), la battaglia non si è mai svolta secondo le regole che da una così alta liturgia ci si aspetterebbe. Mai. Piuttosto è stata contrappuntata da congiure, bugie, dossier, dispetti, bocciature, «pugnale e veleno» (copyright Carlo Donat Cattin).
Una spietata commedia del potere che, come si dice, si alimenta del suo stesso racconto. Fino a diventare romanzo. Bene, se volete partecipare al sabba, o almeno assistervi da un punto d’osservazione privilegiato, allora leggete il libro di Marco Damilano “Il Presidente” che troverete in edicola domenica 16 gennaio con “L’Espresso” e “la Repubblica” (a 12,90 euro più il prezzo del giornale).

Pagina dopo pagina, un cronista attento e acuto che mastica politica da sempre – quando seguì la sua prima elezione presidenziale, quella di Francesco Cossiga, aveva 16 anni – svela i segreti, i protagonisti e le misteriose alchimìe del Grande Evento: da De Nicola a Mattarella, da Gronchi a Pertini, da Leone a Scalfaro, da Einaudi a Ciampi.
Il rituale, in fondo, non è mai stato del tutto uguale a se stesso. Certo, qualche regola c’era, ma si è dissolta con la Prima Repubblica. Allora lo schema prevedeva il coinvolgimento del Pci; l’alternanza tra un laico e un cattolico; il no ai capi partito, meglio le seconde file (tranne che nel caso di Segni, potente leader della corrente più potente della Dc, i dorotei, e di Saragat, segretario del Psdi).
I presidenti, poi, non sono stati tutti uguali: Damilano li divide in “rispettosi dei confini” (De Nicola, Einaudi, Leone, Ciampi); “impositivi” (Gronchi, Segni, Saragat, Scalfaro); “antagonisti” (Pertini, Cossiga) e per ciascuno ci regala retroscena, aneddoti, carte segrete. In quanto a Napolitano e Mattarella, figli della crisi dei partiti, sono stati costretti ad aprire al massimo la fisarmonica dei loro poteri, fino a praticare quel semipresidenzialismo di fatto che sbuca ogni tanto in questa storia.

Damilano non può certo dirci come il romanzo Quirinale andrà a finire, ma oltre a fornirci un manuale di memoria e testimonianza indispensabile per comprendere la cerimonia misterica che sta per compiersi, dedica qualche pagina al candidato più accreditato (nel capitolo “Drag King”, titolo espressese), ma anche il più condizionato, dall’eccezionalità (mai finora un premier ha traslocato al Quirinale) e, per paradosso, dal suo stesso carisma: «Al Quirinale arriverebbe per la prima volta il massimo esponente dell’Italia politica, il punto di equilibrio del governo di unità nazionale, il riferimento europeo atlantico e internazionale», scrive Damilano; «il presidente della Repubblica diverrebbe il garante dell’indirizzo politico e il presidente del Consiglio avrebbe una funzione puramente esecutiva di questo indirizzo»; sul Colle si realizzerebbe «la coincidenza tra potere formale e potere sostanziale». Una stagione nuova nella quale il Presidente prevarrebbe sull’Istituzione.
Per comprenderla, per prepararsi a viverla o, al contrario, per ricordare ciò che non è stato e sarebbe potuto essere, prendete in mano questa guida. In attesa che la storia si concluda.
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di Bruno Manfellotto
espresso.repubblica.it
2022-01-10 09:21:00 ,