Giuseppe Conte naturalmente non interferisce nel congresso del Pd. E ci mancherebbe. Al presidente del M5s basta per ora aver superato di due punti i dem nei sondaggi (17% contro 15% circa, a parti invertite rispetto alle politiche del 25 settembte, quando il Pd ha preso il 19% e il M5s poco più del 15%). Quanto al dibattito in corso tra gli ex alleati del fronte giallorosso, Conte è piuttosto scettico: «Mi sembrano schiacciati in una discussione surreale sulle regole mentre nessuna delle ragioni che hanno portato alla sconfitta è analizzata. Non ci sono al momento temi veri», dice parlando con i suoi in Transatlantico. Eppure Conte una preferenza ce l’ha, ma non è quella che ci si potrebbe aspettare.
No a Schein, possibile competitor per il M5s
Tra i due candidati in pole, ossia il governatore dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini e la neodeputata Elly Schlein, le preferenze del M5s dovrebbero andare a quest’ultima: fortemente antirenziana (uscì dal Pd, come altri, in polemica con l’ex premier e segretario dem), militante Lgbt, attenta ai bisogni degli “ultimi” e fautrice di uno spostamento a sinistra del partito, dichiaratamente a favore del ripristino dell’asse privilegiato con i 5 Stelle e con il loro leader. Eppure i rapporti personali tra i due vanno poco al di là della cortesia formale. Il fatto è che Conte – sussurranno i suoi – spera in realtà che le previsioni si avverino e vinca Bonaccini: proprio lui, il riformista, l’”amico” di Renzi, il portabandiera di quella vocazione maggioritaria di veltroniana memoria che provoca nervosismo tra le file pentastellate solo a nominarla («bisogna riscoprire la vocazione maggioritaria, che vuol dire non delegare a priori i voti di sinistra al M5s e quelli moderati al Terzo polo, il mio sarà un partito riformista che vuole continuare a rappresentare tutte le culture: socialista ed ex comunista, liberale e cattolico-democratica», ribadisce ancora in queste ore il presidente dell’Emilia Romagna).
La strategia pro Bonaccini di Conte
Le ragioni della preferenza di Conte sono presto dette: con un leader dem come Bonaccini spera di poter continuare a ricoprire il ruolo del Mélenchon italiano, attraendo i voti della sinistra più radicale e “populista”, mentre se Schlein dovesse ribaltare i pronostici il Pd proverebbe a pescare nello stesso bacino elettorale, sventolando le stesse bandiere. Ed è ormai chiara la strategia di Conte: puntare tutto sulle europee del 2024 per consolidare la primazia sul Pd e costruire così un nuovo centrosinistra a guida 5 Stelle in vista delle prossime politiche.
Calenda e Renzi temono invece il riformista Bonaccini
Dall’altro lato dell’ex campo largo anche i leader del Terzo polo guardano naturalmente con interesse al dibattito interno al Pd, partito da cui sono usciti solo nel 2019. Qui le preferenze sono invertite: nonostante l’amicizia politica di Carlo Calenda e soprattutto di Matteo Renzi con Bonaccini (nel 2013, in qualità di segretario regionale dell’Emilia Romagna, Bonaccini fu determinate per portare Renzi alla guida del Pd), entrambi ammettono che se dovesse vincere Schlein si aprirebbero per il loro partito liberal-democratico in costruzione «ampie praterie», alludendo naturalmente ai possibili voti dei riformisti e dei moderati in uscita da un Pd schleiniano. Ma Calenda e Renzi, che conoscono meglio di Conte il loro vecchio partito, non si fanno troppe illusioni. «Stravince Bonaccini, la Schlein non esiste, è solo un prodotto della gauche caviar», sentenzia Renzi. E Calenda già prepara la strategia per non essere fagocitato dal nuovo probabile leader del Pd: «Bonaccini dice di sì a Bersani, D’Alema, M5s, De Luca ed Emiliano: l’involuzione verso il “fritto misto populista”. È la riprova che il Pd è irriformabile…», è il suo ultimo attacco via social.