In Cassazione, invece, un numero di cause pari a un sesto dello stock pendente nel merito vale ugualmente 37,8 miliardi di euro. Si tratta di 43.670 liti (dato al 31 aprile 2021): il 52,3% ha un valore da 0 a 100mila euro, mentre solo l’1,2% riguarda cause che valgono più di 10 milioni, ma che in totale pesano 20,3 miliardi su 37,8.
Il peso economico dei tre gradi di giudizio, dunque, è pari a 75,4 miliardi: il doppio dei 37 miliardi della manovra 2023 e quasi un terzo dello stanziamento da 204 miliardi previsto con il Pnrr e il ReactEu.
Le misure deflattive
Già il Governo Draghi ha provato a intervenire sull’arretrato fiscale, introducendo con la riforma della giustizia e del processo tributario (130/2022) la definizione agevolata solo in Cassazione per liti fino a 100mila euro. L’intenzione era andare a intaccare proprio quel 52,3% di liti di più basso valore.
La misura, che resta in vigore, si affianca alle altre tre messe a punto dal viceministro all’Economia Maurizio Leo. C’è, appunto, una nuova definizione agevolata, con impatto diretto sui gradi di merito e di legittimità: le controversie pendenti in ogni grado del giudizio, compresa la Cassazione, potranno essere definite con il pagamento di un importo pari al valore della lite, con esclusione di interessi e sanzioni (si veda il Sole 24 Ore del 24 novembre 2022).
Poi c’è la conciliazione agevolata: anch’essa presenta vantaggi per il contribuente, ma la norma non fornisce una leva affinché l’agenzia delle Entrate sia indotta ad accogliere la proposta conciliativa del contribuente. Secondo i dati della Direzione tributaria del Mef, infatti, mediamente ogni anno le liti definite in modo conciliativo sono lo 0,4% del totale, segno che l’istituto non riesce a decollare, anche per la difficoltà di mettere d’accordo le parti. La prima commissione di riforma della giustizia tributaria, quella presieduta da Giacinto della Cananea, aveva indirettamente provato a intervenire in questo senso, prevedendo che «qualora una delle parti ovvero il giudice abbiano formulato una proposta conciliativa, non accettata dall’altra parte senza giustificato motivo, restano a carico di quest’ultima le spese del giudizio maggiorate del 50%».