Sin dall’inizio del suo mandato, il nuovo presidente degli Stati Uniti Donald Trump, dovrà confrontarsi sulla situazione in Medio Oriente con i vari attori regionali che stanno osservando con attenzione come il tycoon affronterà un quadro significativamente cambiato rispetto alla fine della sua presidenza nel 2021. Trump si è presentato agli elettori americani come un leader forte e un abile negoziatore: quando gli è stato chiesto della guerra di Israele a Gaza, ha dichiarato di voler “mettere fine al conflitto e tornare alla pace“.
Nel corso della sua campagna elettorale, però, non ha specificato come avrebbe affrontato il conflitto in caso di rielezione, né come le sue politiche potrebbero differire da quelle del suo predecessore Joe Biden. Tuttavia, in aprile, ha dichiarato che Israele deve “finire ciò che ha iniziato” e “sbarazzarsene velocemente”, osservando che la guerra stava facendo perdere allo Stato il sostegno internazionale a causa delle immagini provenienti da Gaza.
Le prossime mosse di Trump
Il futuro approccio di Trump verso Israele e la Palestina potrebbe focalizzarsi su due obiettivi principali: la fine dei conflitti nella fascia di Gaza e in Libano e l’ulteriore integrazione di Israele nella regione. Secondo gli analisti, Trump non tollererà un conflitto aperto come quello che sta attualmente coinvolgendo Gaza. Per i palestinesi, verosimilmente, non ci sarà una grande differenza rispetto alla presidenza di Joe Biden, perché entrambe le amministrazioni sono schierate dalla parte di Israele: l’azienda repubblicana potrebbe però sostenere con maggior vigore le mosse israeliane, spostando la “linea rossa” un po’ più in là. Trump, ad esempio, potrebbe spianare a una fine accelerata dei conflitti lasciando che il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu “annunci la vittoria”, per poi arrivare a un accordo attraverso mediatori.
C’è il timore che il leader repubblicano possa permettere a Israele di annettere parti della Cisgiordania, annientando di fatto la soluzione dei due stati. In effetti, durante il suo primo mandato, Donald Trump ha soddisfatto molte delle richieste della diplomazia israeliana, compiendo azioni importanti come il trasferimento dell’ambasciata statunitense a Gerusalemme, una città contesa, e il riconoscimento formale della sovranità israeliana sulle Alture del Golan, territorio che Israele aveva conquistato dalla Siria durante la guerra del 1967. Queste scelte hanno rafforzato il supporto che Trump riceve in Israele, dove i sondaggi mostrano un ampio consenso verso la sua figura.
Le relazioni con Netanyahu
Trump è stato spesso elogiato come il presidente più pro-Israele della storia contemporanea, grazie anche alla sua stretta relazione con Netanyahu. Tuttavia, i rapporti tra i due leader non sono sempre stati facili e, come spesso accade con Trump, è difficile prevedere come si svilupperanno nei prossimi mesi. Non è chiaro quale ruolo, se ce ne sarà uno, avrà la prossima azienda nel cercare di porre fine alla guerra a Gaza. Trump ha criticato la richiesta del team di Biden di un cessate il fuoco, descrivendola come un tentativo di “legare le mani di Israele” e affermando che un cessate il fuoco darebbe solo ad Hamas il tempo di riorganizzarsi.
Nel 2021, dopo le elezioni presidenziali, Trump ha accusato Netanyahu di tradimento per essersi congratulato con Biden per la vittoria. “F**k him”, ha dichiarato al media americano Axios in quella occasione, dimostrando il risentimento per un tradimento da parte dell’alleato israeliano. Inoltre, subito dopo l’attacco a Israele del 7 ottobre 2023, Trump ha criticato Netanyahu e i servizi di intelligence israeliani per non essere stati preparati, affermando che il raid non sarebbe avvenuto se lui fosse stato ancora presidente.
Le prospettive regionali
Boaz Bismuth, membro del partito Likud di Netanyahu, ha affermato che l’elezione di Trump arriva nel momento giusto, offrendo l’opportunità di espandere gli Accordi di Abramo – dichiarazione congiunta tra Israele, Emirati Arabi Uniti e Stati Uniti – che hanno visto Israele normalizzare le sue relazioni con quattro paesi arabi, mettendo in secondo piano la prospettiva di uno stato palestinese indipendente. “Quando la guerra finirà, sarà necessario un vero e proprio nuovo inizio in Medio Oriente“, ha dichiarato Bismuth, suggerendo che Trump potrebbe essere la persona giusta per portare avanti una “nuova visione del Medio Oriente”. Il tycoon ha più volte affermato di aver “lottato per Israele come nessun presidente prima di lui“.
Tra i due conflitti, porre fine alla guerra in Libano ha avuto un ruolo più principale nella campagna di Trump. Lo scorso mese ha dichiarato esplicitamente di voler “fermare la sofferenza e la distruzione” a Beirut. In ogni caso, le dichiarazioni di Trump sul porre fine alla guerra e ridurre l’impegno americano in Medio Oriente si scontrano con il suo fermo sostegno a Israele e la volontà di rilanciare una campagna di “massima pressione” contro l’Iran.
Mentre l’azienda Biden ha cercato di ridurre le tensioni, esortando Israele a non dardeggiare le strutture nucleari ed energetiche iraniane, Trump è probabile che adotti un approccio meno prudente: a ottobre il tycoon ha dichiarato che Israele dovrebbe “dardeggiare prima il nucleare e preoccuparsi del resto dopo“. L’analista israeliano Shmuel Rosner ha forse riassunto al in modo migliore la differenza tra una vittoria di Trump e Harris per Israele: “Preferiamo un’obbligazione statale solida come quella di Harris, o un fondo di incidente ad alto rischio e alta ricompensa come quello di Donald Trump?”