Come funziona questo benedetto metodo? Semplice: si fa bollire l’acqua, si aggiunge il sale, si butta la pasta, si mescola, si aspetta che torni l’ebollizione e infine si spegne il fuoco, chiudendo bene il coperchio e non riaprirlo fino al termine della cottura, eventualmente allungando un po’ il tempo di cottura rispetto a quello riportato sul pacco di pasta. Per non scuocere la pasta o tirarla fuori troppo al dente, insomma, è necessaria un po’ di attenzione in più rispetto alla cottura tradizionale: niente di impossibile, comunque, specie se sull’altro piatto della bilancia c’è un risparmio di energia.
Sempre Bressanini, ripercorrendo la storia della cottura degli alimenti, fa riferimento addirittura a uno scritto di Benjamin Thomson, uno dei fondatori della termodinamica, risalente al 1799: “Tutto il combustibile che viene utilizzato nel farla bollire vigorosamente è sprecato, senza aggiungere un singolo grado al calore dell’acqua, né velocizzare o accorciare il processo della cottura di un solo secondo. Poiché è dal calore, dalla sua intensità e della sua durata che il cibo viene cotto, e non dall’ebollizione dell’acqua che non ha alcun ruolo in quell’operazione”.
L’ebollizione – le bollicine che vediamo nella pentola –, insomma non c’entra niente: tanto più che la temperatura di ebollizione dipende dalla pressione atmosferica, e infatti in alta quota l’acqua bolle prima rispetto che sul livello del mare, eppure i montanari mangiano pasta altrettanto buona. Qualche dettaglio in più: “La cottura della pasta è governata principalmente da tre fattori – prosegue Bressanini – la velocità di penetrazione dell’acqua all’interno dell’impasto, la gelatinizzazione dell’amido e la denaturazione e conseguente coagulazione del glutine. Tutti questi fenomeni dipendono dalla temperatura. L’acqua penetra nella pasta anche a basse temperature, persino in acqua fredda, ma più la temperatura aumenta e più velocemente entra nell’impasto. La gelatinizzazione dell’amido è quel fenomeno in cui i granuli di amido assorbono acqua e formano un gel. L’amido di frumento gelatinizza tra i 60 °C e i 70 °C. Il glutine denatura e coagula tra i 70 °C e gli 80 °C. Notate che sono tutte temperature molto al di sotto delle temperature di ebollizione comuni nelle nostre cucine. Questo significa che è possibile cuocere la pasta anche tenendo l’acqua a 80 °C, mettendoci solo un pochino di più perché l’acqua idrata l’impasto un po’ più lentamente”.
Si risparmia davvero?
Posto allora che il risultato sia buono in termini di gusto (e, ripetiamo, gli esperti sono divisi: lo chef Antonello Colonna, per esempio, ha detto a Repubblica che con questo metodo si rischia che la pasta assuma una texture gommosa e sgradevole; altri cuochi sostengono invece che il risultato sia indistinguibile da quello ottenuto con la cottura tradizionale), si risparmia davvero? E si tratta di un risparmio considerevole o trascurabile? Premesso che in tempi di crisi qualsiasi risparmio, anche se piccolo, non è da sottovalutare, va detto che il calcolo non è semplice. Hanno provato a stimarlo i Pastai italiani di Unione Italiana Food: secondo i loro calcoli, relativi a una cottura passiva a fuoco spento e con il coperchio dopo i primi due minuti di cottura tradizionale, il risparmio di energia ed emissioni di anidride carbonica può arrivare al 47% rispetto al metodo tradizionale. Una stima che, spannometricamente, sembra avere senso, dal momento che il tempo necessario a portare l’acqua a ebollizione è comparabile al tempo medio di cottura della pasta. Sempre secondo le stime dell’associazione, inoltre, questo metodo è adottato solo da un italiano su 10, mentre avrebbero preso piede le sane abitudini di usare meno acqua (700 millilitri ogni 100 grammi di pasta, come farebbe uno su quattro) e mettere sempre il coperchio (lo farebbero in nove su dieci).
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di Sandro Iannaccone www.wired.it 2022-09-10 04:50:00 ,