di Simone Valesini
Li abbiamo attesi, salutati come una svolta. Ma la diffusione degli antivirali orali per Covid-19 stenta a decollare: paxlovid, il più efficace dei due trattamenti disponibili, è stato prescritto per ora a meno di 7mila pazienti da quando è diventato disponibile anche nel nostro paese. Ne abbiamo acquistati oltre 600mila cicli di trattamento per il 2022, e quindi è chiaro che serve una svolta per far fruttare l’investimento.
È per questo che Aifa sembra decisa a cambiare le regole per l’accesso a questi farmaci: presto sarà infatti sufficiente la prescrizione del medico di famiglia, e le pillole potranno essere ritirate direttamente in farmacia. Una rivoluzione che, si spera, contribuirà a migliorare ulteriormente l’attuale situazione epidemica, e potrebbe rivelarsi fondamentale in autunno, con l’inizio della nuova stagione fredda e il probabile ritorno di fiamma della pandemia. Vediamo allora come cambiano le regole, quali farmaci sono disponibili e i loro effetti.
Farmaci anti Covid-19
Il primo antivirale ad arrivare sul mercato è stato il Remdesivir. Un farmaco a somministrazione endovenosa, che deve quindi essere utilizzato in setting ospedaliero o comunque con il coinvolgimento del personale sanitario. Inizialmente era stato approvato solamente per pazienti già ricoverati e sottoposti a ossigenoterapia, nel caso di forte rischio di peggioramento della malattia. Ora si può utilizzare anche per pazienti ad alto rischio non ospedalizzati, fino a sette giorno dopo l’insorgenza dei sintomi. In questo caso, le nuove direttive Aifa non cambieranno la situazione, visto che le modalità di utilizzo del farmaco non permettono l’autosomministrazione.
Diversa la situazione nel caso dei due nuovi antivirali in pillola arrivati negli scorsi mesi. Il primo ad essere approvato è stato il molnupiravir, disponibile da fine dicembre. A seguire, il paxlovid, arrivato in Italia a febbraio. In entrambi i casi, si tratta di medicinali che vanno assunti entro cinque giorni dall’insorgenza dei sintomi in pazienti non ospedalizzati, per ridurre (con efficacia diversa) il rischio che la malattia progredisca verso forme più gravi.
Fino ad oggi, i medici di famiglia (o le Usca) dovevano segnalare i pazienti potenzialmente eleggibili alla terapia agli specialisti dei centri identificati dalle regioni, che in caso di valutazione positiva provvedevano a prescrivere i farmaci. Le medicine andavano quindi ritirate presso le farmacie ospedaliere dei centri regionali. Un percorso laborioso, che ha evidentemente contribuito a frenare l’utilizzo dei due antivirali, visto che la finestra temporale per iniziare la terapia è ristretta, e ogni collo di bottiglia nel processo di prescrizione è destinato evidentemente a ridurre il numero di pazienti che riesce ad accedere ai farmaci per tempo. Non a caso, l’ultimo rapporto Aifa parla di circa 16mila somministrazioni per il molnupiravir (su un totale di circa 50mila trattamenti acquistati dal nostro paese), e appena 6.800 per il paxlovid.
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www.wired.it
2022-04-18 05:00:00