di Mara Magistroni
Secondo i risultati di un ampio studio, somministrare ai pazienti con Covid-19 in forma grave il plasma ricavato dai convalescenti non cambia il decorso della malattia
I risultati di un ramo di Remap-Cap (Randomised, Embedded, Multifactorial, Adaptive Platform Trial for Community-Acquired Pneumonia), un importante studio clinico che ha coinvolto migliaia di pazienti in tutto il mondo, sembrano mettere definitivamente la parola fine al ricorso al plasma iperimmune per il trattamento dei pazienti con Covid-19 grave: nella maggior parte dei casi è inutile.
Il ricorso al plasma iperimmune, chiariscono gli autori dell’articolo pubblicato sulle pagine di Jama, aveva il suo perché all’inizio della pandemia: non si sapeva pressoché nulla del nuovo coronavirus e le alternative di trattamento disponibili erano anch’esse dei tentativi. Inoltre la somministrazione di plasma da pazienti convalescenti aveva dimostrato una certa efficacia per cambiare il decorso di altre malattie virali, per esempio Ebola.
L’effettiva efficacia del plasma iperimmune per Covid-19, però, è rimasta dubbia per un bel po’. Il problema – ricorda Bryan McVerry, esperto della University of Pittsburgh Medical Center che ha partecipato alla ricerca – era che nel caos dell’emergenza, con migliaia di persone malate e nessuno standard di cura, la terapia veniva somministrata al di fuori degli studi clinici, quindi senza veri criteri di selezione dei pazienti (non tutti erano in condizioni critiche) né una vera gente di controllo. “Con questi risultati oggi possiamo mettere fine all’uso del plasma iperimmune nei pazienti con Covid-19 grave e concentrarci sui trattamenti che sappiamo funzionare, oltre che sullo sviluppo e sulla sperimentazione di trattamenti migliori”, puntualizza McVerry.
Da Remap-Cap, infatti, è emerso che dopo l’infusione di due unità di plasma iperimmune a pazienti Covid critici non c’erano sostanziali differenze nella progressione della malattia rispetto a quanto avveniva nei pazienti nelle stesse condizioni ma che avevano ricevuto cure standard. In particolare non c’era differenza nella probabilità di sopravvivenza ad almeno tre settimane senza necessità di supporto della respirazione.
I ricercatori si dicono pressoché certi dell’inutilità del plasma iperimmune nei pazienti gravi. Tuttavia i dati hanno mostrato che nei pazienti immunocompromessi la somministrazione di plasma iperimmune sembra avere un leggero beneficio rispetto alle cure standard. Il numero però è troppo piccolo (solo 126 pazienti) per poter trarre delle conclusioni. “Potrebbe essere che i pazienti con un sistema immunitario compromesso, che non sono in grado di sviluppare una risposta immunitaria efficace, possano comunque beneficiare degli anticorpi presenti nel plasma sanguigno dei pazienti guariti da Covid, specialmente all’inizio della malattia”, commenta Lise Estcourt, dell’Università di Oxford e direttore dell’Unità per le sperimentazioni cliniche del sangue e dei trapianti del National Health Service del Regno Unito. “Questo è un dato che merita sicuramente un’indagine“.
Ma perché il plasma iperimmune non funziona? Gli scienziati non sanno dare una risposta. Forse ci sono troppo pochi anticorpi “di qualità”, oppure i pazienti sono ormai in condizioni troppo critiche perché possano fare la differenza e frenare la progressione.
Non è infatti corretto dire che la strategia non funzioni in generale: è possibile che il plasma iperimmune abbia effetto su pazienti che versano in condizioni migliori, ancora all’inizio dell’infezione. Ma in questi casi, oggi, è forse preferibile utilizzare gli anticorpi monoclonali, perché più efficienti.
Source link
www.wired.it
2021-10-06 05:00:42