Ci vorranno 51 anni in più. Di tanto, oltre mezzo secolo, la pandemia avrebbe allungato i tempi per il raggiungimento della parità di genere, facendolo slittare dal 2120 al 2171. Salute, educazione, livello di occupazione, inclusione digitale e inclusione finanziaria, sono alcuni dei campi di indagine che hanno rilevato come, nonostante la pandemia abbia impattato negativamente su uomini e donne, queste ultime siano tra le categorie maggiormente colpite. “If not now, when?” è il titolo dello studio realizzato da Accenture e Quilt.AI insieme a Women20 (W20), l’engagement group del G20, che ha l’obiettivo di garantire che il dialogo sul bilanciamento di genere sia integrato nell’agenda del G20. Lo studio è stato realizzato su un campione di 7.000 persone e sette paesi, analizzando l’impatto che il Covid-19 ha avuto sull’uguaglianza di genere rispetto allo scenario pre-pandemia.
Il nodo dei lavori di cura non retribuiti
Gli stipendi per le donne sono diminuiti del 63% più velocemente rispetto a quelli degli uomini, le donne hanno mostrato di avere il 79% di probabilità in più di essere licenziate rispetto ai colleghi maschi, disparità dovuta sostanzialmente a due fattori: da una parte sono impiegate maggiormente in settori più vulnerabili alla chiusura delle attività, dall’altra la presenza femminile è inferiore a quella maschile ai livelli più alti dei percorsi di carriera. Per quanto riguarda i carichi nei lavori di cura, lo studio conferma quanto abbiamo già ascoltato da più voci negli ultimi mesi: sebbene il tempo dedicato alla cura dei bambini da parte degli uomini sia aumentato del 34% rispetto a una situazione pre-pandemica, è aumentato anche quello delle donne, del 29%. Il 50% del campione femminile dello studio ha dichiarato un incremento della tensione e dello stress legato alla cura in ambito domestico.
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Le 10 aree di azione, che rendano il Covid un’opportunità
I numeri ci ripresentano ancora una volta una situazione di cui siamo ben consapevoli: il dato di partenza, infatti, ovvero che la parità fosse un obiettivo raggiungibile nel 2120, non era particolarmente rincuorante e virtuoso. Servono più che mai risposte in questo momento, nuove politiche e sistemi di pensiero, per accelerare il progresso di inclusione. Lo studio, nelle conclusioni, sottolinea che spetta ai leader del G20 trasformare la sfida del Covid-19 in un’opportunità. Occorre pianificare una ripresa che deve necessariamente essere basata sul principio di inclusività. Solo riconoscendo che la piena ed equa partecipazione delle donne all’attività economica è fondamentale per una più rapida ripresa, si potrà uscire dall’impasse senza lasciare indietro una fetta di popolazione che troppo spesso ha già dovuto fare i conti con l’invisibilità. Per raggiungere questi obiettivi, i delegati del W20 hanno quindi identificato 10 aree in cui i leader del G20 devono agire immediatamente per correggere i forti squilibri di genere e garantire un’equa ripresa economica: salute, educazione, inclusione digitale, finanziaria, lavorativa, e ancora l’area dei lavori di cura non retribuiti, la protezione dei redditi, la carriera e la leadership, l’imprenditoria femminile e un’analisi accurata su dati disaggregati per genere.
Perché servono dati disaggregati per genere
Di quest’ultima opzione, non va sottovalutata l’importanza. Quando una crisi colpisce, avere a disposizione dati che mostrano l’impatto dettagliandosi per genere, attraverso aree geografiche e settori, può offrire direttive d’intervento utili per i responsabili politici per progettare al meglio gli interventi di recupero, rispondendo a effettivi bisogni e urgenze. L’esperienza di precedenti crisi sanitarie comparabili, come le epidemie di Ebola e Zika, ha già mostrato che la mancanza di dati disaggregati per sesso, ha portato a risultati non ottimali per le donne, sia a breve termine, per quanto concerne gli interventi sanitari, sia a lungo termine. Ad esempio si consideri l’esposizione alla povertà: è meno probabile che le donne abbiano risparmi significativi o una buona pensione, e questo le espone a un rischio maggiore in seguito a periodi di disoccupazione o di reddito limitato.
Per l’inclusione digitale serve l’impegno delle organizzazioni
Dal report emerge inoltre come l’inclusione digitale possa offrire maggiori opportunità di lavoro per le donne: durante la pandemia, il 54% delle lavoratrici ha fatto maggiormente ricorso a internet per svolgere il proprio lavoro, più degli uomini (35%). Poiché, però, non tutti oggi hanno uguale possibilità di accesso alle risorse digitali, le organizzazioni devono necessariamente assicurarsi che l’accesso offerto a queste risorse sia inclusivo per genere.Inoltre occorre spianare la strada anche per le aree del cloud computing e per le carriere Stem: solo il 12% delle lavoratrici opera in queste aree e il 19% delle donne ancora oggi ritiene che le carriere Stem siano più adatte agli uomini. Non solo dunque infrastrutture tecnologiche, è necessario stabilire delle linee guida sensibili alle tematiche di genere per le tecnologie più avanzate e favorire la partecipazione delle donne nello sviluppo di nuove tecnologie.