Quando dei settori così poco regolamentati, e che prendono le forme di un far west finanziario, affrontano una crescita repentina, è inevitabile che prima o poi tutto il castello di carte crolli. È sufficiente che qualcuno decida che è giunto il momento. È esattamente quanto è avvenuto con TerraLuna, la piattaforma di prestiti basati su criptovalute – che al suo apice aveva una capitalizzazione di mercato da 80 miliardi di dollari – che si è polverizzata nel momento in cui gli investitori più avveduti hanno capito che gli stratosferici tassi d’interesse garantiti non erano più sostenibili, ritirando i loro investimenti. L’ondata di sfiducia ha travolto un settore già traballante dopo due anni di euforia, portando l’intero criptosettore a toccare i minimi dal gennaio 2021.
Chi ha detto fine?
È la fine delle criptovalute? In realtà, non è affatto detto. Da questo punto di vista, proprio il necrologio recentemente fatto dal New York Times offre delle chiare indicazioni attraverso il parallelismo con la bolla delle dot-com che, nel 2000, aveva travolto il nascente settore di internet. “Alcuni esperti sostenevano da tempo che l’esuberante crescita degli ultimi due anni non potesse andare avanti per sempre, paragonandola al boom delle dot-com della fine degli anni ’90. Al tempo, decine di società dot-com si erano quotate in borsa durante l’isteria relativa alle grandi promesse di internet, anche se poche di loro producevano profitti. Quando la fiducia è evaporata all’inizio del 2000, molte di queste dot-com sono andate gambe all’aria, lasciando solo le più grandi – come eBay, Amazon e Yahoo – in piedi”.
Si tratta di un parallelismo molto più lusinghiero di quanto potrebbe sembrare. Ai tempi della bolla del 2000, il Nasdaq aveva superato i 4mila punti: oggi ne vale 11mila dopo aver raggiunto anche quota 15mila nell’ottobre scorso. Nel 2000, un’azione di Amazon valeva tre dollari e dopo l’esplosione della bolla dot-com aveva perso il 90% del valore. Oggi ne vale 113 (+ 4000%).
In poche parole, se la fine di questa euforia speculativa servirà a fare piazza pulita delle realtà più strampalate e a far emergere dal mazzo quelle con le fondamenta più solide, ben venga: è esattamente ciò che è avvenuto nel 2000 con le prime imprese della Silicon Valley, circondate allora da immenso scetticismo e che poi hanno invece cambiato il mondo (nel bene e nel male). Non è detto che avvenga anche nel settore delle criptovalute, ma allo stesso tempo sarebbe sciocco escluderlo per principio.
Il mercato orso
E questo per altre due ragioni: prima di tutto, si presta enorme attenzione al crollo delle criptovalute (perché, come sempre, è più vistoso degli altri), ma in realtà è tutto il mondo finanziario che sta precipitando dopo due anni eccessivi di euforia finanziaria. Le azioni del Nasdaq sono scese del 25% da inizio anno a oggi. Nello stesso lasso di tempo, alcuni dei più importanti colossi della Silicon Valley hanno subito crolli degni delle criptovalute: Meta ha perso il 50%, Amazon il 30%, Netflix un’impressionante 66%. Perfino il vecchio Dow Jones ha perso il 14%. Il nostro Ftse Mib ha perso addirittura il 27%.
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di Andrea Daniele Signorelli www.wired.it 2022-07-20 05:00:00 ,