L’erosione costiera minaccia i siti archeologici di tutti i continenti. Il 60 % dei 284 siti costieri africani di “eccezionale valore universale” potrebbe essere messo in pericolo da un evento costiero estremo entro il 2050. E 42 dei siti europei indicati dall’Unesco come patrimonio dell’umanità, situati in regioni costiere basse del Mediterraneo, sono a rischio di erosione. “Le attuali proiezioni sui cambiamenti climatici, unite all’impatto umano, indicano un futuro cupo per i resti antichi di molti siti costieri ricchi di archeologia“, dice Marriner.
Gli archeologi hanno pochi strumenti per prevenire i danni causati dalla siccità. I budget per proteggere i siti più importanti sono già ridotti al minimo. La costruzione di una barriera marina che potrebbe salvare siti costieri come l’antico porto di Siraf costerebbe almeno 400mila dollari al chilometro. È fuori discussione, dice Marriner.
Contromisure difficili
Le misure di protezione più efficaci sarebbero quelle per prevenire la siccità, che per prima cosa richiedono una riduzione immediata delle emissioni umane di gas serra che riscaldano la Terra e alimentano la desertificazione. Per ridurre l’impatto della siccità i governi devono anche sviluppare politiche idriche più sostenibili e risolvere le dispute sull’acqua con i paesi vicini. Il governo iracheno, per esempio, sostiene che nei prossimi 14 anni i progetti di immense dighe in Turchia e in Iran ridurranno del 60 % l’acqua che scorre lungo il Tigri e l’Eufrate. Jaafar Jotheri, professore di geoarcheologia presso l’università di Al-Qadisiyah in Iraq, spiega che gli agricoltori saranno costretti a sfruttare i bacini salati sotterranei per irrigare le colture. Il sale viene poi spinto dal vento sui siti archeologici iracheni, alcuni dei quali risalgono anche a 5000 anni fa, impregnando i loro mattoni di fango semi-organici e causandone lo sgretolamento.
“Perderemo i nostri siti archeologici al 100 cento – sostiene Jotheri –. Li perderemo completamente perché verranno coperti dalla sabbia. Il resto sarà distrutto dal vento, dalla temperatura e dal sale“.
Gli archeologi possono anche cercare di convincere i governi a considerare il patrimonio fisico nelle loro politiche ambientali, ma sono le persone ad avere la priorità su tutto. La siccità ha già costretto gli iraniani ad abbandonare 1700 paesi nel Khorasan meridionale, la regione al confine settentrionale del Sistan.
Per ora, i ricercatori possono solo documentare il maggior numero possibile di siti colpiti. Sia Rouhani che Fradley fanno parte del progetto Endangered archaeology in the Middle East and North Africa della University of Oxford, che ha sviluppato un database pubblico con oltre 333mila siti da venti paesi e incoraggia altri archeologi a contribuire con i propri dati. La sabbia potrebbe seppellire anche le guglie e le cittadelle più alte, ma grazie al lavoro del progetto almeno sapremo dove scavare.
Leggi tutto su www.wired.it
di Charlie Metcalfe www.wired.it 2022-10-02 17:00:00 ,