Mezzogiorno, 2 ottobre 2022 – 08:45
di Mario Rusciano
Astensioni e schede bianche: troppi gl’italiani che non hanno votato. Dunque non hanno «svoltato a destra». Questa coalizione ottiene grosso modo il 45% del 65% dei votanti. Scontata l’irrazionalità della legge elettorale, non un grande risultato. La vittoria della destra è comunque indiscutibile: chiara la maggioranza parlamentare, ha il diritto-dovere di governare. Apprezzabile l’affermazione, dopo la vittoria, dell’onorevole Meloni, candidata Premier: svolgere il ruolo nell’interesse di «tutti» gl’italiani, anche di quanti non l’hanno votata. Auguriamoci, qui al Sud, che metta in pratica l’ottimo proposito: che i suoi atti, pur rispettando il suo programma, siano cioè ispirati all’imparzialità istituzionale richiesta dai risultati elettorali. Preoccupa semmai la frattura tra Nord e Sud: per la disomogenea distribuzione dei suffragi e la bassissima percentuale di votanti meridionali. FdI, Lega e FI hanno ottenuto voti al Nord più che nel Mezzogiorno, appassionato del M5S. La frattura s’allargherebbe se passasse l’«autonomia regionale differenziata» nella versione voluta da Salvini, ma (forse) sgradita alla Meloni.
Che vuole unire il Paese e ridurre le diseguaglianze. Insite invece nell’autonomia differenziata, che sarà il banco di prova dei buoni propositi. Fatto il Governo, trascorso un ragionevole periodo d’assestamento e dimenticati gli slogan elettorali, inizierà l’attività governativa vera e propria nei vari settori economici e sociali. Attività soggetta per Costituzione al controllo sia dell’opposizione parlamentare sia dei cittadini (votanti e astenuti). I quali, per verificarne la coerenza pure coi buoni propositi, devono partire dai programmi elettorali, soffermandosi sui problemi più scottanti della gente: non pochi né semplici. E posti in un’epoca tremenda della storia d’Italia dell’Europa e del mondo, piena d’inedite acute difficoltà nazionali e internazionali: pandemia, guerra, crisi energetica coi conseguenti terremoti economico-finanziari.
Non a caso va fatto l’esempio del «lavoro»: piaga italiana, specialmente del Mezzogiorno. Sul lavoro è utile richiamare un’indagine dell’Adapt — Istituto specializzato dell’Università di Modena-Reggio Emilia, fondato da Marco Biagi e diretto da Michele Tiraboschi — che analizza e giudica con imparzialità i programmi elettorali in materia, esprimendo valutazioni secondo parametri oggettivi: dettaglio; fattibilità; urgenza (Adapt, Materiali di discussione, n. 6/2022 ). Importanti qui, intuibilmente, i giudizi sui programmi della destra. «Fratelli d’Italia»: «Offre proposte differenziate e prevalentemente incentrate sulla riduzione del cuneo fiscale e contributivo, nonché su incentivi all’imprenditoria e alle assunzioni, che incidono sul costo del lavoro. Le proposte, tuttavia, vengono elencate nel programma senza un’indicazione circa le stime dei costi delle misure e ciò non consente di effettuare una stima reale della fattibilità. Il principio del “chi più assume, meno paga” è soltanto accennato e ad esso non segue una proposta concreta rispetto a come declinare il principio stesso, pur essendo interessante e legato ad una priorità reale per il Paese. Una nota senz’altro positiva merita la proposta di razionalizzazione degli incentivi alle imprese: l’idea è fattibile, concreta e utile per facilitare la conoscibilità e l’accesso a misure strategiche per lo sviluppo economico». Non tanto diverso il giudizio sul programma di «Forza Italia»: «Incentrato su una riduzione del cuneo fiscale e contributivo per favorire la crescita e lo sviluppo economico del Paese. Le misure risultano piuttosto generiche e non sono legate ad una stima dei costi che si renderebbe necessaria per operare scelte e definire priorità d’intervento; maggiori dettagli si ritrovano nelle proposte dedicate alla riduzione del cuneo fiscale e contributivo del lavoro dipendente, rispetto al quale vi sarebbero vantaggi anche per i datori di lavoro».
Neppure il programma della «Lega» si discosta dai precedenti: «Contiene diverse proposte finalizzate alla riduzione del costo del lavoro per dipendenti e imprese. Senz’altro si renderà necessaria una scelta tra le misure indicate, e in tal senso non vi sono specificate priorità d’azione. L’obiettivo d’una riduzione di 10 punti percentuali di cuneo fiscale in 10 anni è ambizioso e richiederebbe un’indicazione della stima dei costi della misura affinché essa possa considerarsi realizzabile». Infine «Noi Moderati»: «Due proposte concrete sul tema della riduzione del costo del lavoro, cioè la detassazione di aumenti retributivi e l’innalzamento dell’importo dei premi di risultato convertibile in Welfare . Le proposte sono fattibili e intervengono sulla necessità di favorire la crescita del livello dei salari e di incrementare il Welfare aziendale, strumento la cui logica favorisce datori di lavoro e lavoratori al tempo stesso». Accomuna questi programmi — nel complesso alquanto mediocri — l’idea che occupazione e tutela del lavoro dipendano dal sostegno dell’impresa, caricato però sulla fiscalità generale. La centralità dell’impresa nell’economia di mercato è un’ovvietà condivisibile. Ma per Costituzione la nostra è un’economia sociale di mercato . Ora non s’ottiene l’invocata collaborazione tra capitale e lavoro senza valorizzare il lavoro in sé e la rappresentanza sociale . E magari considerando l’uno e l’altra semplici strumenti dell’azienda. Inoltre quasi silenzio o solo qualche accenno su: Mezzogiorno; investimenti privati e pubblici; piani industriali; precarietà del lavoro; rappresentanza e partecipazione sindacale. Urgente su questi temi aprire una serena seria discussione, specie nella sinistra.
2 ottobre 2022 | 08:45
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