Erica Chemolli è originaria di Pietramurata, piccolo paese in provincia di Trento, ma dal 2011 vive a Miami, in Florida. Si è trasferita negli Stati Uniti grazie a un incontro fortunato e qui ha deciso di informarsi in modo approfondito sulla sua malattia, la vitiligine, e di dare vita alla sua attività. “Mi permette di aiutare altri e di vivere la mia condizione in maniera positiva”, racconta a Fanpage.it.
Da sinistra, la città di Miami ed Erica Chemolli.
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Erica Chemolli è originaria di Pietramurata, piccolo paese in provincia di Trento, ma dal 2011 vive a Miami, in Florida. Si è trasferita negli Stati Uniti grazie a un incontro fortunato e qui ha avuto modo di informarsi in maniera più approfondita sulla sua malattia, la vitiligine, emersa dopo la scomparsa della madre, avvenuta quando lei aveva solo 20 anni.
Dopo alcune ricerche legate al mondo dell’alimentazione, è riuscita a trasformare in un punto di forza quello che considerava un ‘difetto’ e a dare vita a un’attività che produce té kombucha, una bevanda molto diffusa negli Stati Uniti e arrivata di recente in Italia.
“Durante il periodo dell’Università, ho perso mia madre in un incidente. Dopo la sua morte, hanno iniziato a comparirmi delle macchie chiare sulla pelle e ho scoperto di avere la vitiligine“, racconta a Fanpage.it. “Vorrei che la mia storia potesse essere d’ispirazione perché ho cercato di affrontare la mia malattia con uno spirito diverso e di trasformarla in un punto di forza. Ho creato un’attività che permette di aiutare altri e anche di viverla in prima persona in maniera positiva”.
Quando e perché ti sei trasferita negli Stati Uniti?
Sono nata in un piccolo paesino del Trentino, in mezzo alla campagna. Ho fatto il liceo socio-pedagogico e mi sono laureata in Psicologia. Durante gli studi ho sempre lavorato in un ristorante, in quegli anni ero fidanzata e con il mio ragazzo avevo preso in gestione un locale, da cui è nata la mia passione per l’enogastronomia. Ho fatto un corso da sommelier e al mondo del vino e della sua percezione ho dedicato anche la mia tesi di laurea.
Il ristorante è cresciuto, veniva gente da tutto il mondo, e un giorno è arrivata una coppia di italo-americani che vivevano negli Stati Uniti. Ci hanno lasciato un biglietto da visita dicendoci di spostare l’attività anche a Miami, ma le cose andavano bene e non abbiamo mai pensato di trasferirci. Io però quel biglietto l’ho conservato.
Quando la mia storia d’amore è finita, ho deciso di prendermi un periodo di pausa. Ho ricevuto proposte di lavoro da persone della zona, ma non avevo voglia di lavorare nello stesso settore. E così mi è venuto in mente di contattare il signore del biglietto da visita, che si chiama Larry Enzo Pisoni.
Ho scoperto che anche lui era di origini trentine e da lì è nata un’amicizia. Così mi ha dato la possibilità di trasferirmi negli Stati Uniti, a Miami, e ho iniziato a lavorare per la sua azienda, trasformando i miei titoli italiani, prendendo una seconda laurea e ottenendo un visto H1B (per persone che svolgono attività specialistiche con qualifiche professionali, ndr) che mi ha dato la possibilità di prendere poi la green card. E quest’anno otterrò anche la cittadinanza, dopo aver fatto tutta la procedura.
Miami (foto Erica Chemolli)
Di cosa ti occupi negli Stati Uniti?
Ho iniziato a lavorare con questa società, la Gourmet Italia, che ha un contratto con il governo degli Usa e vende prodotti alimentari italiani all’interno delle basi militari statunitensi. E, continuando a lavorare con loro, ho deciso di dedicarmi anche a un’impresa tutta mia che nasce dalla voglia di trasformare la mia malattia in un punto di forza.
Durante il periodo dell’Università, quando avevo 20 anni, ho perso mia madre in un incidente stradale, mentre mi stava venendo a prendere. Dopo la sua morte, hanno iniziato a comparirmi delle macchie chiare sulla pelle e ho scoperto di avere la vitiligine, una malattia che ha circa l’1% della cittadinanza mondiale.
Quando mi sono trasferita in Florida, ho iniziato a informarmi su questo tema (Erica ha scritto anche un libro: ‘Keep calm è solo vitiligine!’, ndr), e a documentarmi anche dal punto di vista alimentare. Ho scoperto così l’importanza dei probiotici, il mondo dei fermentati e un té, il kombucha. Un bevanda che negli Stati Uniti però viene prodotta con molti zuccheri e io, che sono anche appassionata di fitness, ho iniziato a farlo a casa, a basso contenuto calorico, e ad avviare questa attività.
Il logo che ho scelto è il panda, perché penso che in qualche modo “ringrazi” la vitiligine per avermi fatto scoprire questo mondo. Nel 2023 ho anche partecipato a una fiera d’arte importante, la Miami Art Basel, insieme a un artista, Pawel Borzym, che ha portato la scultura di un panda. Ho cercato di informare sul tema della vitiligine in un modo diverso. Questa è la mia storia e vorrei che potesse essere d’ispirazione, perché ho cercato di affrontare la mia malattia con positività. Ho creato un’attività che permette di aiutare altri e anche di viverla in prima persona in maniera positiva.
Erica insieme alla scultura dell’artista Pawel Borzym.
Molti credono che gli Stati Uniti siano solo il Paese del junk food, invece io credo che sia anche quello dell’innovazione. Qui si vedono cose che in Italia arrivano più lentamente e io ho scoperto dei prodotti che se fossi rimasta lì magari non avrei mai conosciuto. Sono una persona molto curiosa, in generale, e sulle novità alimentari devo esserlo per lavoro. Negli Usa poi è stato più semplice aprire una società: si può fare da soli, direttamente su Internet.
Mentre in Italia è un po’ diverso, ci sono dei tanti passi da fare ed è necessario essere un po’ più solidi, avere le idee chiare: bisogna andare dal notaio, che è giù una spesa, e avere un capitale sociale da versare. Se non si produce, poi i soldi si perdono. Qui poi c’è ovviamente molta competizione.
Cosa ti piace e cosa non ti piace della vita lì?
Partiamo dal presupposto che sono nata in un paese piccolissimo dove non avevo nemmeno il supermercato. Se fossi nata a Roma o Milano, magari sarebbe stato diverso. Miami mi piace molto per i servizi. Bisogna integrarsi, ma una volta che riesci a farlo, si viaggia velocissimo.
Una cosa che invece non mi piace è che, soprattutto in una fase iniziale, in questo Paese manca un po’ quello che io definirei ‘buonsenso’. Qui, siccome è tutto grande, l’organizzazione viaggia per ‘catene’. Le persone al vertice creano delle strutture informatiche molto rigide e, se tu sei un’eccezione, non compresa nel sistema, è difficilissimo procedere.
Gli impiegati con cui ti rapporti ti rispondono: “Non posso fare niente, non so come aiutarti”, perché non hanno potere decisionale. In Italia riesci invece ancora a confrontarti con chi decide e a risolvere certi problemi più facilmente. Si tratta però di un sistema che in questo Paese è strutturato così proprio per evitare la perdita di soldi o altri errori. Una volta che capisci tutto questo sistema e ti inserisci diventa tutto più semplice.
Cosa ti manca dell’Italia? Torneresti?
L’esperienza qui mi ha fatto capire quanto sono belle l’Italia e la mia Regione. Il nostro Paese è bellissimo, anche per tutto il cibo che abbiamo, visto che è il mio settore. Ogni Regione ha i suoi cibi specifici e per me questa è davvero una magia. Poi c’è l’ospitalità. Tanti locali sono a conduzione familiare e producono in casa molti prodotti. E i prezzi sono più bassi, a Miami costa tutto tantissimo. Non mi manca l’Italia perché torno spesso, ma mi rendo conto che è veramente un Paese bellissimo, di cui essere orgogliosi.
Qui ho trovato un ambiente dove c’è tanta innovazione e vengono organizzati alcuni degli eventi più importanti del mondo. Le cose non ti piovono addosso però, se ti dai da fare e hai voglia di fare, ci sono molte opportunità. Ho bisogno di adrenalina e di essere motivata, in questa fase della mia vita mi sento a mio agio negli Stati Uniti.
A chi consiglieresti gli Stati Uniti come Paese in cui trasferirsi?
Sicuramente a una persona che si sta specializzando in qualcosa, si trovano tanti posti dove poter fare esperienze qualificanti. Per esempio, uno specializzando in Medicina può avere opportunità di formarsi in più. Potrebbe anche non rimanere, ma se tornasse in Italia, lo farebbe con un bagaglio maggiore.
Chi viene qui con l’idea di fare impresa deve invece avere le idee molto chiare, le spalle coperte e un’identità ben definita perché la concorrenza è molto forte. A quel punto poi ‘the sky is the limit‘, ‘il cielo è il solo limite’.
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di Eleonora Panseri
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2024-03-17 06:31:30 ,