Dalla Malesia alla abitazione-bottega in Oltretorrente, storia del liutaio Andrew

Dalla Malesia alla abitazione-bottega in Oltretorrente, storia del liutaio Andrew

Dalla Malesia alla abitazione-bottega in Oltretorrente, storia del liutaio Andrew


Un viaggio di diecimila chilometri, dalla Malesia in Italia, alle radici di una storia fatta di legno, corde e cuore: a Parma, nella parte vecchia della città in cui ancora resistono rare attività artigiane, Andrew Nyen Wen Tan, 36 anni, ha allestito la sua liuteria.

Una abitazione-bottega in cui costruisce e restaura strumenti di musica antica, veri e propri racconti intarsiati nel legno in cui si possono leggere indizi della sua passione per l’arte, per la storia e per l’Oltretorrente. Il quartiere in cui Andrew dà forma a sogni fatti rigorosamente a mano.

“Ho iniziato a suonare il violino a 13 anni, in Malesia. È stata la musica ad accendere la mia curiosità per la cultura italiana, per me allora sconosciuta ma affascinate quanto poteva esserlo la cultura orientale per gli europei nell’Ottocento”.

La sua, come racconta (scegliendo con precisione le parole così come sceglie una lima), è stata “una domanda di genesi: mi chiedevo per quale via il violino fosse stato introdotto in Malesia. Il più antico violino al mondo è della prima metà del Cinquecento: la stessa epoca in cui i portoghesi arrivarono in Malesia. L’ipotesi è che gli scambi commerciali fra Italia e Portogallo abbiano portato questo strumento nel sud-est asiatico”.

Nel 2010, il primo viaggio in Italia, a lungo desiderato, nel paese di Amati, Stradivari e Guarneri, grandi maestri liutai che hanno fatto storia: “Da noi, in Malesia, non esiste una tradizione di arte liutaia. Per imparare questo antico mestiere ho deciso quindi di venire in Italia. E ho scelto Parma attirato dalla scuola fondata dal maestro Renato Scrollavezza”.

L’incontro con un luogo in cui si intrecciano storia, arte e bellezza, è un colpo di fulmine: “Quando ho visto la sede, all’interno di un castello, nella Rocca di Noceto, sono rimasto incantato. Rispetto a Cremona, molto più pubblicizzata, ho preferito la scuola di Noceto, con un’atmosfera quasi familiare, in cui però si conserva e tramanda uno stile artistico molto forte”.

Dopo un primo contatto con l’ambiente dell’accademia di liuteria (che, nonostante le piccole dimensioni, richiama studenti provenienti da tutta Europa, dall’Estremo Oriente, da Israele e dagli Stati Uniti), la decisione di prepararsi all’ingresso nella scuola per liutai affrontando prima, con umiltà, un periodo di apprendistato. Per due anni Andrew si impegna quindi come ragazzo di bottega a Singapore, in un negozio di restauro di strumenti antichi, prendendo confidenza con pialle, legni e vernici.

“Quando sono tornato a Parma, nel 2012, ero avvantaggiato, avendo già una buona padronanza degli attrezzi: con un po’ più di sicurezza, sono entrato nella scuola del Maestro Scrollavezza”.

Ridono gli occhi, ad Andrew, quando parla dell’incontro con il suo maestro. Di umili origini, nato nel ‘27 in una famiglia di braccianti, animato da una irredimibile passione per la voce del violino, captata per la prima volta da bambino durante una pubblica esibizione nella piazza del paese, Scrollavezza, prima di diventare uno dei più importanti maestri liutai della seconda metà del secolo breve, è stato un furioso, anarchico, autodidatta, innamorato al punto da bruciare, in bicicletta, andata e ritorno, i 60 chilometri tra Parma e Cremona per dare un’opportunità al suo desiderio di imparare l’arte della liuteria.

Nel ricordarlo, la voce trema, riavvolgendo il nastro di una pellicola che racconta la fortuna, non riducibile a misura, di avere incontrato lo sguardo di un maestro: “Sono stato uno dei suoi ultimi allievi. Lo ricordo come un uomo attento ai dettagli. Aveva cura per noi studenti e ci insegnava non solo l’importanza della tecnica ma anche quella della sintonia spirituale che deve esserci tra la mano e lo strumento che stai creando”.

Tra i tanti ricordi, uno vibra di una più profonda venatura sentimentale: “Sapendo che arrivavo da lontano e che non avevo modo di procurarmi dei bei legni, un giorno Renato ha tirato fuori dalla sua cantina un pezzo d’acero e me lo ha dato, assegnandomi un compito: con quel legno dovevo costruire il mio primo violino, da solo, lavorando a abitazione. Il risultato sarebbe stato la prova di quello che avevo imparato dal suo insegnamento”.

Oggi, quel primo pezzo di legno, diventato un violino barocco, “lo conservo come una reliquia, segno del legame di amicizia che ancora mi fa sentire la presenza viva di Renato”.

Il lavoro di cesello e di lima che Andrew ha affinato sul legno, è una pratica che applica, con divertita ed esatta serietà, anche al corpo delle parole.

Alla mia domanda (da profana) se il legno sia vivo, risponde sorridendo: “Non proprio: dire che è vivo è impreciso. Il legno respira, segue le stagioni e fa i suoi cambiamenti, quasi come se fosse ancora un albero nel bosco: quando c’è umidità, si espande. Quando è secco, si ritira, cambiando sonorità a seconda della stagione. Sembra ricordare il suo essere un elemento che appartiene alla natura”.

Sul tavolo da lavoro, il piano di studio per uno strumento che Andrew presenterà a Malta ad un concorso internazionale.

Alle pareti, le medaglie d’oro dei concorsi già vinti come costruttore di strumenti barocchi. Ognuno dei quali è una creazione unica, un accordo tra tradizione e inventiva, tecnica e azzardo, intuizione e ricerca.

Come la viola d’amore che mi mostra, costruita in due anni di lavoro, incorporando lo stile architettonico della chiesa dell’Annunziata.

Sul legno lucido, si apre il rosone della chiesa di via D’Azeglio, quasi un merletto con un’anima di pergamena che riproduce lo stemma dell’ordine francescano. “E siccome l’Annunziata è costruita all’epoca dei Farnese – racconta Andrew nel ripercorrere le tappe di un itinerario immaginativo e creativo che sul legno riproduce emblemi della città – ho inserito un’altra citazione nella testata della viola: il giglio dei Farnese”.

I suoi clienti e committenti lo raggiungono da tutto il nord Italia, alcuni anche da più lontano. In città, è uno dei pochissimi maestri liutai che, oltre a costruire strumenti a partire dal pezzo di legno si assume la responsabilità di restaurare strumenti antichi.

Tra gli attrezzi di lavoro, me ne mostra due, ancora incartati: “Sono sgorbie. Le ho trovate sul banco di un mercatino. Ormai nessuno più le usa e le ho potute prendere con poco”.

Tra i pochissimi liutai che operano in città, “molto importanti per la mia formazione sono stati Elisa Scrollavezza, figlia di Renato, poi Andrea Zanrè e Frédéric Noharet: quest’ultimo è stato come un padre. Mi ha dato la possibilità di esercitarmi nella sua bottega portandomi a esprimermi artisticamente”.

Per Andrew, la memoria dei gesti sembra essere vitale per dare forma al presente: “Stando sotto il tavolo per cucire di mia nonna, da bambino, ho iniziato a imparare a usare ago e filo. Oggi imbastisco da solo tutti i costumi che uso per le rievocazioni importanti e i concerti in stile d’epoca. Mia madre, che lavorava nella moda, mi ha trasmesso la passione per la creazione di abiti. E da mio padre, guida turistica, ho assimilato l’amore per l’architettura. La mia famiglia è orgogliosa che io abbia trovato qui la mia vita – continua Andrew, che frequenta il Conservatorio – Non potrei permettermi di studiare qui se non lavorassi”.

Le sue sono giornate scandite tra impegni molto amati: “Ogni giorno suono i miei strumenti, mi esercito. Nel pomeriggio, di solito, mi arriva l’ispirazione per nuove creazioni (o la vado a cercare passeggiando e osservando la città, i suoi palazzi, le sue chiese). La liuteria per me è preghiera, meditazione, per questo mi ci dedico soprattutto la sera: limare mi aiuta a riflettere sulla giornata, su come ho usato il mio tempo. In questo modo, l’arte mi ha sempre salvato”.

Le marezzature del legno diventano mappature di strade, chiese e palazzi ma pure venature di memorie personali, che si riaccendono quando Andrew suona: “Ogni fase della mia vita viene segnata da uno strumento e quando lo suono ritrovo la memoria di quel periodo. Gioie e dolori”.

E, come un amico, ogni strumento viene chiamato per nome: “I liutai che hanno studiato con Scrollavezza, nominano sempre i loro strumenti: anche battezzare uno strumento, dopo che lo si è messo al mondo, significa mantenere una tradizione”.

Dalla vetrina, estrae un liuto intarsiato come un mosaico: “Il rosone riprodotto qui prende ispirazione da quello che si trova nella chiesa di San Francesco Del Prato. Come si chiama il liuto? S. Francesco”.

(vasini)

Un antico mestiere, quello di liutaio, messo in salvo da Andrew nella forma di un intarsio di tempi, memorie, culture e arti diverse: “Sono uno straniero che ha portato la cultura italiana nella propria vita. Questo intarsio culturale lo sperimento ogni giorno come un arricchimento: la cultura italiana è un tassello in più che mi completa. Non credo che sia un caso che questo avvenga qui, in Oltretorrente: mosaico di storie, voci e culture, è un quartiere antico, aperto, non pretenzioso ma vivace e naturale come un legno buono. Dove mi sento a abitazione”.



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[email protected] (Redazione Repubblica.it) , 2022-11-13 16:43:54 ,parma.repubblica.it

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